martedì 30 agosto 2016

CACCIA ALLA FIRMA: CLAUDIO CASTELLINI parte 3

di Saverio Ceri

Bentornati alla "Caccia alle firme di Castellini" sulle prime copertine di Nathan Never. Approfittando dei festeggiamenti del venticinquennale del personaggio, abbiamo pensato di andare a riscoprire una curiosità, proprio degli esordi della serie, che per molti è nota, ma che per molti altri (neo-lettori o appassionati della prima ora del personaggio che non ci avevano mai fatto caso), giunge nuova. In questa terza puntata ci occupiamo dei numeri trentuno a quarantacinque; se volete scoprire le firme da soli non proseguite la lettura e usate questo pezzo come "soluzione del gioco" se non riuscite a scovarle tutte. 
La prima (Nathan Never 1-15) e la seconda parte (Nathan Never 16-30) le raggiungete cliccando sui link. 

Castellini si è cimentato negli anni anche con i personaggi più prestigiosi delle major statunitensi: qui lo vediamo all'opera con Batman: la firma è abbastanza visibile in bassoa  sinistra.




Eravamo in debito della soluzione della firma sull'albo n.30. La trovate, se ruotate l'albo di 90 gradi in senso orario, nell'alone di luce che avvolge Gabriel, all'altezza del polpaccio.


Nathan Never 30, novembre 1993

La firma di luce

Sul trentunesimo albo troviamo una delle firme meglio celate: guardate bene.... è quasi in bella vista, al centro della cover spostata verso la destra: sull'acqua che scivola sulla schiena della balena.

Nathan Never 31, dicembre 1993

La firma sulla balena
Tutto sommato facili da rintracciare le firme sui numeri 32 e 33: la prima sull'insegna alle spalle di Nathan, la seconda in alto sulle lamiere del corridoio.


Nathan Never 32, gennaio 1994

la firma... d'artista

Nathan Never 33,  febbraio 1994


Altro nascondiglio divertente è quello sul numero 34. La firma si trova nella polvere alzata dal camion guidato da Legs.  Lo stesso mezzo che va a fuoco nella cover del numero successivo, mentre sul ciglio della strada appare il nome dell'illustratore.

Nathan Never 34,  marzo 1994

la firma nella polvere

Nathan Never 35,  aprile 1994

firma on the road
Cambio di scenario sul numero 36: la firma si sposta dalle assolate pietre desertiche a una più rinfrescante neve.  

Nathan Never 36,  maggio 1994

la firma nella neve

Seguono 4 albi con firme ben in vista, tra cui tre "C.C.", rispettivamente sulla facciata di un palazzo, su un cornicione, su un'insegna abbattuta e su una consolle


Nathan Never 37,  giugno 1994

la firma sul palazzo

Nathan Never 38,  luglio 1994

la firma sul cornicione

Nathan Never 39, agosto 1994

la firma sul cartello

Nathan Never 40, settembre 1994

la firma sulla consolle
Il numero 41  si segnala per un altro piccolo capolavoro. Stavolta Castellini mimetizza la firma nel gioco di luce e ombra che si forma su un cratere lunare.

Nathan Never 41, ottobre 1994

la firma sul cratere
Altra firma curiosa, ma comunque in bella vista è quella "liquida" che troviamo sul quarantaduesimo albo della serie

Nathan Never 42, novembre 1994

la firma liquida
Ritorna la sigla C.C. sul numero 43, decisamente più facile da mimetizzare negli ambienti metallici delle astronavi.

Nathan Never 43, dicembre 1994

il marchio di fabbrica
Il nome del disegnatore sull'albo 44, se pur nascosto, risalta per la sua innaturalezza nell'ombra del dinosauro in basso a sinistra.

Nathan Never 44, gennaio 1995

la firma "cinetica"
L'albo che chiude questa terza puntata mostra la firma in prospettiva, ma ben visibile sul piano della "bara" di cristallo che contiene la futuribile Biancaneve in attesa del suo Principe Azzurro (con cravatta rossa).
Nathan Never 45, febbraio 1995

La firma nella teca
E per non perdere le buone abitudini (e per par condicio fumettistica con l'immagine di apertura), ci lasciamo con una nuova sfida: riuscite a trovare la firma dell'illustratore di questa cover di Wolverine: The end ?

Saverio Ceri




N.B. Trovate i link alle altre battute di caccia alla firma di CC su Cronologie & Index!

domenica 28 agosto 2016

L'ANGOLO DEL BONELLIDE (XXV): LA LUNGA STRADA DEL WESTERN FILO-INDIANO (quarta parte - 1980-2015: dalla fine di Lupo Nero al ritorno di Magico Vento e oltre)

di Andrea Cantucci


Les Peaux-Rouges 9 (Casterman,1982)

Io scomparirò, ma la terra sulla quale oggi cammino rimarrà intatta
Canto dei Sioux Omaha


Dove eravamo rimasti…

Come abbiamo visto nelle puntate precedenti, dalla fine degli anni 1930 e per tutti gli anni 1940 gli Indiani d’America dei fumetti western quando non erano visti come malvagi venivano per lo più relegati al ruolo di spalla dell’eroe bianco, nella dicotomia stile Lone Ranger e Tonto. Ancora negli anni ’60 e ’70 si ritrovava un’impostazione simile in personaggi come Daniel Boone, che nei telefilm e nei fumetti della Gold Key poteva contare sul valido aiuto dell’indiano cherokee Mingo, o come il Bob Crockett di Mino Milani e Jorge Moliterni, un immaginario figlio del famoso Davy Crockett a sua volta accompagnato nei suoi viaggi dal fedele indiano arapaho Axis, in storie che uscivano su Il Corriere dei Piccoli prima e su Il Corriere dei Ragazzi poi.

Bob Crockett e Axis dal Corriere dei Ragazzi n°19 (1975)


Col passare del tempo però questi pard indiani cominciavano gradualmente ad assumere un ruolo ben diverso da quello di amichevole subalterno che ricoprivano nei fumetti dei decenni precedenti. Mingo a volte dimostra la sua indipendenza dall’amico bianco, rischiando quasi di schierarsi contro di lui in nome delle usanze e delle vendette tribali della sua gente, mentre la figura di Axis è ancora più lontana da quella di un aiutante subordinato, proponendosi al contrario come mentore e guida per il giovane eroe della serie. 

Daniel e Mingo da Daniel Boone n°5 (Fratelli Spada,1972)

 
Dopo che nel 1940 il piccolo Hiawatha disneyano aveva dato il via a una lunga serie di bambini indiani protagonisti di tanti fumetti rivolti ai più piccoli, tra gli anni 1950 e 1960, complice anche il cinema che iniziava a dedicare alcune pellicole a eroi indiani come Cochise, cominciavano a proliferare un discreto numero di fumetti dedicati a eroi pellirosse adulti, ma per lo più raffigurati ancora in modo approssimativo, insufficiente a rappresentare correttamente la vera cultura e i veri costumi amerindi. Intanto alcuni eroi bianchi, come Tex e Zagor, si schieravano più volte e con decisione anche dalla parte degli indiani ma con atteggiamenti che per il momento avevano ancora qualcosa di paternalistico e neocolonialista, come di chi in quanto bianco si arroga il diritto di regnare sui nativi e quindi non fa che difendere i propri presunti sudditi.


Da Jerry Spring n°5 (Dupuis,1958) - edizione italiana Collana Western n°77 (2016)


In quegli anni l’eroe di turno per lo più tendeva a offrire il proprio aiuto come se l’intervento e i consigli di un più saggio, civile e valoroso uomo bianco fossero indispensabili per far pendere la bilancia a favore degli indiani dell’una o dell’altra tribù, cosa che accade più volte anche nella serie del Sergente Kirk. In questo modo, pur non mettendo in dubbio la buona fede e buona volontà sia dei protagonisti che dei loro autori, si rischiava ancora di alimentare involontariamente un pizzico di razzismo nei lettori. Fa eccezione Jerry Spring, che ha con sé il meticcio messicano Pancho non come semplice spalla ma come comprimario del tutto alla pari, per cui i due si pongono come amici e alleati di diverse tribù senza mai cercare, per così dire, di comandare a casa loro, dimostrandosi una delle coppie di eroi più sinceramente antirazzisti di quel periodo.
Con i fumetti western nati tra il 1960 e il 1980, contemporaneamente a una serie di film sempre più a favore degli indiani, molti personaggi come Blueberry, Pat Mac Donald, Buddy Longway, Jonathan Cartland o Ken Parker, dimostrarono fin dall’inizio di avere un atteggiamento di maggior rispetto verso i nativi. Anche se i protagonisti delle storie sono degli eroi bianchi e da qualunque delle due parti si trovino schierati, i rapporti di amicizia che stringono con gli indiani sono ora su un piano di parità e, anche se a volte si permettono di dare consigli, non pretendono di comandare sui vari capi-tribù, che infatti non sempre li assecondano. 

Una tavola con Bob Jason disegnata da Gianni De Luca per il Giornalino (1969)

 
Tra gli anni 1960 e 1970, potevano condividere tale rispetto verso i Nativi Americani anche i protagonisti di altri western minori, come il giovane Bob Jason, creato dallo sceneggiatore Mario Basari e dal disegnatore Gianni De Luca sulle pagine della rivista Il Giornalino e apparso in appena un paio di storie tra il 1969 e il 1970. Bob Jason, chiamato dagli indiani Scalpo d’Oro per i suoi capelli biondi e amico della giovane indiana Fior-di-Vento, è uno dei pochi bianchi a cui sia permesso assistere alla Festa della Primavera che vede riunite cinque nazioni delle pianure e, benché le sue storie siano molto edulcorate, il disegno poetico di De Luca dà dei costumi indiani una rappresentazione meticolosa e gradevole pur nel suo idealizzato romanticismo.

Loup Noir 1° episodio da Pif Gadget n°2 (1969)


Intanto altri autori particolarmente esperti e ben documentati sulla materia, come Hans Kresse, Rino Albertarelli, Paolo Eleuteri Serpieri, Raffaele Ambrosio e Jean Ollivier, in più occasioni fecero di indiani veri o del tutto verosimili i protagonisti assoluti delle loro storie. In particolare lo sceneggiatore francese Ollivier, prima di dedicarsi alla sua Storia del Far West, creò nel 1969 insieme al disegnatore Kline il personaggio di Loup Noir (Lupo Nero), il figlio di un sioux e di una apache che viaggia per la frontiera col suo cavallo Shinook, il lupo Topee e gli amici Piccola Nuvola e Shorty, rispettivamente un giovane sioux e un trapper.
Lupo Nero usciva su Pif Gadget, una rivista per ragazzi caratterizzata da sempre da idee progressiste di sinistra, diretta erede della testata Vaillant nata a sua volta, nel 1945, dal giornale illustrato Le Jeune Patriote (Il Giovane Patriota) che aveva esordito l’anno precedente, quando essere patrioti francesi significava soprattutto resistere contro il nazismo dell’occupazione tedesca e dei collaborazionisti di Vichy. 
Accanto a personaggi a loro modo rivoluzionari come l’ingegnoso uomo preistorico Rahan o il romantico avventuriero Corto Maltese, la presenza su Pif di un eroe indiano serviva a fornire anche il punto di vista dei Nativi Americani, visto che sulla rivista c’era già un altro western pubblicato su Valliant fin dal 1963 con protagonista un eroe bianco, il cow-boy Teddy Ted, a sua volta accompagnato da un amico indiano.


Loup Noir 1°albo (Pif Editions,2005)

 
Ma se le avventure di Teddy Ted terminarono su Pif nel 1975, quelle di Lupo Nero proseguirono fino al 1980, per poi essere riprese nella nuova serie della stessa rivista tra il 2004 e il 2008, periodo in cui le sue storie iniziarono anche a essere raccolte in una breve serie di album. È abbastanza chiaro che, tra i due personaggi, quello che poteva risultare più adatto ai western dei nuovi tempi fosse l’indiano senza patria Lupo Nero che, pur essendo a volte costretto a combattere sia contro dei bianchi che contro altri indiani, vive avventure in cui si sostengono precisi valori umanisti, ecologici e di tolleranza tra i diversi popoli.

Un’importante svolta si era verificata con quella che, pur non avendo avuto grande risonanza in Italia, tra il 1974 e il 1982 era stata forse la serie sugli Indiani d’America più apprezzata in Olanda e Francia, I Pellirosse di Hans Kresse, che si svolge in un’epoca poco frequentata dagli autori western, il XVI secolo che vedeva i primi incontri e scontri tra Apache e Spagnoli, in quelle che allora erano le regioni più settentrionali della Nuova Spagna. Se le storie di Kresse, incentrate su una particolare tribù apache, sono abbastanza classiche nella concezione narrativa e grafica, la loro accuratezza sotto l’aspetto della storia, dei costumi e dei tratti somatici indiani contribuì ad alzare gli standard di accuratezza dei fumetti western europei, insieme alle storie contemporanee di autori come Gino D’Antonio e Paolo Eleuteri Serpieri su cui ci siamo già soffermati.

La deportazione dei Cherokee in Western Family - da Blitz n°20 (Universo,1978)


Tra gli anni ’70 e ‘80 anche i fumetti western popolari non poterono più evitare di tener conto delle nuove tendenze filo-indiane. Ad esempio nella serie Western Family, uscita sul settimanale Blitz tra il 1977 e il 1981, lo sceneggiatore Claudio Cicogna racconta di soldati statunitensi che, pur con i volti tipici degli attori dei vecchi film, tiranneggiano e umiliano i nativi scacciandoli arbitrariamente dalle loro terre e assassinandoli senza pietà alla minima ribellione, come nel caso della tristemente nota deportazione del popolo Cherokee in Oklahoma, una tragedia a cui assiste impotente anche uno dei protagonisti di Western Family, il giovane tenente fresco di nomina Martin Morrison, che tenta inutilmente di denunciare gli abusi dei suoi sottoposti.


Ely Parker com'era in realtà in una foto del 1867


Riguardo agli eroi western più classici, adeguarsi ai nuovi tempi fu relativamente facile per quelli che, come Tex, un po’ filo-indiani erano in fondo sempre stati fin quasi dalle loro origini. Tanto per fare un esempio, in mezzo a tanti incontri tra Aquila della Notte e altri capi indiani realmente esistiti, come Cochise o Geronimo, nel 1979 poteva succedere di vedere su Tex n°119 e 120 un personaggio storico come il capo seneca Ely Parker, che era stato nominato commissario agli Affari Indiani dal presidente Grant. Come abbiamo già detto, lo stesso personaggio era apparso due anni prima anche su Ken Parker, dove era chiamato col nome indiano, Donehogawa, probabilmente per non rischiare di confonderlo col quasi omonimo protagonista.
Ma a differenza del personaggio tratteggiato da Ivo Milazzo su Ken Parker n°4, perfettamente somigliante al vero Ely Parker, quello disegnato da Guglielmo Letteri nella storia di Gianluigi Bonelli intitolata Agguato a Washington, ha il volto di un nativo americano più generico e anonimo, forse in considerazione del fatto che i lettori di Tex non sono abituati a vedere indiani con barba e baffi. In quell’episodio, Tex si preoccupa di sventare un complotto politico che potrebbe mettere a rischio la carica di Ely Parker, la cui presenza in quel ruolo è in pratica l’unica cosa che impedisca ai soliti affaristi di mettere le mani sulle terre navajo.

Ely Parker disegnato da Letteri su Tex n°220 (DaimPress,1979)


Ely Parker sarebbe poi riapparso su Tex anche nel 2000, in una storia di Claudio Nizzi e Victor De La Fuente pubblicata sui numeri 471 e 472 e dedicata ancora di più alla questione indiana. Nella vicenda iniziata nell’albo La Collina della Morte e proseguita col titolo Testimoni d’Accusa, Tex si impegna per aiutare Ely Parker nella sua missione, che storicamente compì davvero, di far ottenere giustizia agli indiani delle riserve rimuovendo molti funzionari corrotti che li derubavano. Il compito che Tex si assume consiste nel condurre a Washington dei capi indiani che possono testimoniare su tale stato di cose e, anche se la storia è del tutto romanzesca, non è campato in aria che ci fossero pezzi grossi interessati a mettere i bastoni fra le ruote alla riuscita di una tale operazione politico-giudiziaria, che si potrebbe chiamare Riserve Pulite. Anche nella realtà Ely Parker subì ogni sorta di pressioni e di campagne diffamatorie, che lo costrinsero infine a dimettersi.

Ely Parker in un disegno di De La Fuente su Tex n°471 (SBE,2000)

 
Tex tra i Navajos da Tex n°473 (SBE,2000)

Dalla fine degli anni 1970 le nuove serie western iniziarono a diradarsi sempre più e dal 1980 in poi proseguì la tendenza di avere per protagonisti soprattutto dei nativi americani, dei meticci, o al limite dei bianchi da loro adottati, in un contesto storico ricostruito in modo sempre più accurato, con la creazione di eroi indiani che quindi, pur essendo immaginari, risultavano ora molto più plausibili che in passato…


1980-1984: indiani consapevoli, nuovi sciamani e super-guerrieri

Sul settimanale Lanciostory, in contemporanea alla pubblicazione a puntate della serie di Jonathan Cartland di cui abbiamo già parlato, apparve nei primi anni ‘80 la serie Old America, disegnata da Paolo Ongaro su testi di Mantelli e ambientata durante la Guerra d’Indipendenza americana. Tra i protagonisti, oltre al poco entusiasta capitano inglese Jim Hartword e al patriota John Updike, spicca l’indiano seneca Volpe Rossa, che ha già compreso con che atteggiamento di conquista i visi pallidi intendono trattare la sua terra e i suoi fratelli nativi. In un episodio di Old America si vede infatti anche una sanguinaria ritorsione con cui gli Inglesi puniscono un villaggio di Irochesi, colpevoli di essersi rifiutati di combattere con loro contro i coloni ribelli.

Volpe Rossa nella serie Old America - da Lanciostory n°14 (1981)


Una storia di Ambrosio e Saudelli - da Lanciostory n°41 (1982)


Nello stesso periodo lo sceneggiatore Raffaele Ambrosio, anche senza poter più contare sulla collaborazione di Paolo Eleuteri Serpieri, all’epoca impegnato a disegnare la Storia del Far West per la Larousse, continuò a narrare sui settimanali Eura le sue accurate storie sugli Indiani d’America, disegnate ora da Franco Saudelli, con stile certo meno accurato di quello del predecessore ma comunque dotato di una felice sintesi grafica.

Mestizo da Lanciostory n°43 (1982)


Un’altra serie pubblicata in quegli anni su Lanciostory fu Mestizo, creata nel 1981 dallo sceneggiatore Carlos Echevarría e dal disegnatore Luis Bermejo sulla rivista spagnola Hunter. Il protagonista è un pistolero mezzosangue il cui soprannome in spagnolo significa letteralmente meticcio, un uomo che quindi ha precisi legami di consanguineità e amicizia con varie tribù indiane, non sempre identificate con precisione.
Si sa che Mestizo era figlio di un indiano di nome Orso Bruno, alla cui morte era stato adottato da un capo. Quando poi muore quest’ultimo è proprio Mestizo ad assistere e consigliare per il meglio il proprio fratello adottivo, per aiutarlo a diventare la nuova guida della tribù. Mestizo è in genere piuttosto restio a usare le armi e la forza, ma finisce poi per non poterne fare a meno di fronte alla violenza che lo circonda.

Jon Khe detto Victorio disegnato da Juan Bermejo


È degli stessi autori anche la serie Jon Khe, disegnata da Bermejo alternativamente a Josè Ortiz, uscita dal 1982 sulla versione spagnola della rivista Sargento Kirk e pubblicata in Italia su Skorpio. Il protagonista è un Navajo che appena nato viene gettato giù da una rupe a causa di una profezia funesta. Caduto in un nido d’aquila e trovato dagli Apache, è da loro adottato e gli viene dato il nome Jon Khe (Uccello Strano), ma poi sarà chiamato Victorio a causa di una cicatrice a forma di V lasciatagli sul petto da un frammento di brace. 

Il vero Victorio in una foto d'epoca

 
Da adulto Jon Khe lotta come una sorta di giustiziere in difesa del popolo apache contro gli invasori bianchi, combattendo alla guida di altri guerrieri o da solo, contro pionieri, militari o politicanti. Il secondo nome del personaggio è evidentemente ispirato a quello del capo Victorio degli Apache Mimbres, realmente vissuto nell’800 e anch’esso impegnato a combattere l’esercito con la guerriglia, anche a causa dell’avidità degli agenti governativi corrotti che derubavano il suo popolo. In effetti nel volto del Jon Khe disegnato da Bermejo si può intravedere qualche vaga rassomiglianza col vero Victorio delle foto d’epoca.

Celui qui Est Né Deux Fois 1 (Editions du Lombard,1983)


In quegli stessi anni il fumettista svizzero Derib, dopo il successo riscosso con le già citate serie dedicate al trapper Buddy Longway e al piccolo sioux Yakari, cominciava a sviluppare un ciclo ancora più ambizioso, raffinato e impegnativo composto da due ennesime serie filo-indiane collegate tra loro e sempre pubblicate dalle Éditions du Lombard. La prima parte, intitolata Celui qui Est Né Deux Fois (Colui che È Nato Due Volte) e ambientata nel XIX secolo, iniziò a uscire a puntate nel 1981 ed è stata poi raccolta in tre album pubblicati tra il 1983 e il 1985. Racconta la storia di un bambino indiano nato durante un temporale e per questo chiamato inizialmente Pluie d’Orage (Pioggia di Tempesta). Il piccolo dimostra precoci doti magiche avendo la capacità di toccare il fuoco senza bruciarsi e, dopo che la sua gente è stata massacrata da una tribù nemica, viene adottato ed educato da uno sciamano sioux, fino a diventare a sua volta un uomo-medicina.
La vocazione di Pioggia di Tempesta si manifesta definitivamente con un altro temporale. Colpito da un fulmine resta per vari giorni tra la vita e la morte e ha delle visioni in cui le forze del Fuoco gli conferiscono il potere di guarire e di leggere il futuro nelle fiamme. Quando si riprende è completamente guarito dalle bruciature e lo sciamano suo maestro gli dà appunto il nuovo nome di Colui che È Nato Due Volte.

Celui qui Est Né Deux Fois 3 (Editions du Lombard,1985)


La seconda parte di questa saga indiana di Derib si intitola Red Road (Strada Rossa), si snoda in altri quattro album usciti tra il 1988 e il 1998 e a differenza della prima parte è ambientata nel presente, sul finire del XX secolo. Ne è protagonista un discendente di Colui che È Nato Due Volte, Amos Lambert, che all’inizio della storia ha sedici anni e vive nella riserva dei Sioux Oglala di Pine Ridge, nel Sud-Dakota.
Tentando di superare le difficoltà della vita nella riserva, che anche per lui come per molti della sua gente rischia di trascinarsi tra precarietà e alcolismo, Amos partecipa a rodei, è coinvolto in affari poco puliti e conosce brevemente anche il carcere, ma alla fine si lascerà convincere a seguire le orme del suo antenato, prendendo coscienza a sua volta delle proprie doti di guaritore e dell’aiuto che può dare al suo popolo.

 
Red Road 1 (Cristal BD,1988)

Red Road Intégrale (Le Lombard,2007)


Intanto alla fine del 1981, sulla versione italiana della rivista Pilot pubblicata dall’editrice Nuova Frontiera, iniziò a uscire a puntate una storia western scritta e disegnata da Milo Manara intitolata L’Uomo di Carta.

Un'illustrazione di Manara usata come copertina de L'Uomo di Carta nel 1992


Dapprima l’eroe del racconto sembra essere un anonimo giovanotto bianco che all’inizio rimira di continuo la foto della sua innamorata, ma alla fine la vera protagonista risulterà essere Coniglia Bianca, una ragazza indiana appartenente ai Sioux Oglala che si dimostra particolarmente sveglia e maliziosa. Insieme al giovane, che essendo innamorato di una donna di carta lei ribattezza Uomo di Carta, a un anziano e coraggioso reduce inglese, a un predicatore che va soggetto ad attacchi di furia omicida quando piove e a un indiano contrario (di quelli che fanno tutto a rovescio per acquistare magia in battaglia), Coniglia Bianca tenterà disperatamente di impedire uno dei soliti indiscriminati massacri compiuti dai soldati ai danni della sua gente.

Quattro Dita - L'Uomo di Carta (Edizioni Del Grifo, anni '80)


In questa storia, conosciuta anche col titolo di Quattro Dita, pur con toni leggeri e scherzosi Manara evidenzia il razzismo diffuso tra la gran parte dei bianchi del vecchio West, soldati o coloni che fossero, mentre i personaggi di quel piccolo ed eterogeneo gruppo da lui posto al centro dell’azione sono i soli a cercare d’avvertire i nativi del pericolo e proprio per questo rischieranno d’essere messi a morte dall’esercito.
Il racconto di Manara risente chiaramente dell’influenza di certi film filo-indiani come Il Piccolo Grande Uomo e Soldato Blu, sia pure filtrata a un decennio di distanza dalla maliziosa vena erotica dell’autore.

Tutto Ricominciò con un'Estate Indiana  (1983)


Dopo circa due anni Milo Manara tornò a occuparsi degli Indiani d’America, questa volta in una storia sceneggiata per lui da Hugo Pratt e ambientata nel XVII secolo, in una delle prime colonie puritane del Nord-America. Tutto Ricominciò con un’Estate Indiana avrebbe dovuto essere pubblicata sulla rivista belga (A Suivre), con cui Manara aveva già collaborato, ma in quel periodo la Milano Libri lanciò una rivista di fumetti avventurosi d’autore che nell’impostazione ricordava quelle d’Oltralpe e che fu intitolata al marinaio di Pratt.
L’Estate Indiana uscì quindi su Corto Maltese fin dai primi numeri del 1983. Il lungo racconto di oltre 140 pagine, un vero romanzo a fumetti, prende l’avvio dallo stupro di una ragazza bianca da parte di due ragazzi indiani, poi uccisi da un membro della famiglia Lewis, che vive emarginata fuori della colonia di New Canaan.

Tutto Ricominciò con un'Estate Indiana (1983-1984)


L’inevitabile conseguenza di tali tragici fatti non potrà essere che lo scatenarsi di una feroce battaglia tra gli indiani e il villaggio. Ma pur nel caos della battaglia il guerriero Natan, figlio del capo, fa di tutto per salvare i Lewis, in nome della vecchia amicizia che fino a poco prima li legava a lui e agli altri indiani della zona.
Come loro solito Pratt e Manara non raffigurano i Nativi Americani come degli indigeni ingenui o ignoranti, ma come personaggi attenti e ben informati di tutto ciò che li circonda, con caratteri anche piuttosto pettegoli e scherzosi. Ciò non impedisce che ci siano pur sempre delle insanabili e fatali differenze tra il loro modo di pensare e quello dei bianchi, che spesso si dimostrano molto più subdoli, ipocriti e corrotti.

La Grande Traversata pag 4 (Nuova Frontiera,1983)


Negli stessi anni l’illustratore e fumettista belga Jean Torton, alias Jeronaton, col suo elaborato stile pittorico realizzò l’album auto-conclusivo La Grande Traversata, in cui una ragazza comanche alla ricerca del proprio fratello compie un lungo e difficile viaggio attraverso l’intero continente americano, dalle praterie del Nord alle Ande, un’enorme distanza che riesce a coprire solo usufruendo dell’aiuto di potenti visioni e metamorfosi magiche. Durante il cammino la bella e coraggiosa Topsanna entra così in contatto con vari popoli, i Navajo dell’Arizona, i Chichimechi, Toltechi e Maya del Messico, i Quetchua del Perù governati dagli Incas, e con le relative divinità adorate da quei popoli, non si sa però se tutto ciò le accada realmente o solo in sogno. 


La Grande Traversata - Collana Metal n°14 (Nuova Frontiera,1983)

 
Pur essendo dotata di un certo fascino, questa storia di Jeronaton sembra essere soprattutto una scusa per permettere all’autore di illustrare minuziosamente costumi e architetture dei vari popoli delle Americhe.
La Grande Traversata è stata pubblicata in Italia da Nuova Frontiera nel 1983, sul n°14 della Collana Metal.

Les Pionniers du Nouveau Monde 7 (Glénat,1994)


Nel 1982 esordì invece la serie francese, tutt’ora in corso, Les Pionniers du Nouveau Monde (I Pionieri del Nuovo Mondo), creata da Jean François Charles, proseguita coi disegni di Erwin Sels (in arte Ersel) e giunta ormai al ventesimo episodio, a cui abbiamo già dedicato una puntata dell’Angolo del Bonellide.
Qui è comunque il caso di sottolineare come gli indiani del Nord-Est del XVIII secolo, luoghi e epoca in cui è ambientata la serie, siano rappresentati in modo abbastanza obiettivo, mostrandone ora gli aspetti più violenti e ora quelli più pacifici e umani, anche se, poiché autori e protagonisti sono francesi, si può notare come gli indiani di cui sono qui mostrate le maggiori efferatezze sono soprattutto quelli alleati degli Inglesi, come Irochesi e Chippewa. Nonostante ciò uno dei protagonisti, il trapper Billy le Nantais (tradotto in italiano come Billy il Bretone), dimostra fin dall’inizio di nutrire grande rispetto per i nativi, anche quando è costretto a combatterli. Inoltre dal terzo episodio uno dei principali personaggi è il grosso irochese sempliciotto Bee Bee Gun, che diventa amico del piccolo gruppo di coloni francesi di cui la serie segue le gesta.

Les Pionniers du Nouveau Monde 9 (Glénat,1996)


Le nazioni indiane con cui i Francesi erano in buoni rapporti qui sono viste invece in modo generalmente più positivo e non mancano i rapporti multirazziali, che in quelle lande sterminate erano spesso inevitabili. Così Billy il Bretone mette su famiglia con una ragazza Delaware di nome Piccola Treccia e questa gli dà un figlio che chiamano Scoiattolo, destinato a diventare di recente uno dei nuovi protagonisti al centro della saga.

Il capo dei Cree Skakehanska da Les Pionniers du Nouveau Monde


Un’altra dei protagonisti de I Pionieri del Nuovo Mondo, Louise Dieudonné, figlia di un colonnello francese, a un certo punto stringe rapporti di amicizia con una tribù di indiani Cree dopo aver salvato la vita a Grida nel Vento, una principessa indiana dall’abbigliamento molto succinto, figlia del capo Skakehanska.
Entrambe le ragazze in effetti tendono a vestirsi e a comportarsi in modo molto simile ai cacciatori o ai guerrieri maschi, un po’ come se si trattasse di due femministe ante litteram, tanto che gli indiani danno a Louise il nome di Piccolo Uomo. Il villaggio dei Cree suoi amici sarà poi uno di quelli contagiati e sterminati dal vaiolo, per mezzo di coperte infette donate loro proditoriamente e vigliaccamente dai bianchi.

Les Pionniers du Nouveau Monde 10 (Glénat,1997)


Tra i veri personaggi storici di questa serie, nel nono episodio fa la sua apparizione Pontiac, un famoso capo degli Ottawa alleato dei Francesi, di cui tra il quindicesimo e il diciassettesimo episodio viene ricostruito il tentativo di costituire una confederazione indiana per opporsi con decisione all’avanzata degli Inglesi.
Louise ha tra l’altro una relazione con un guerriero Cree, da cui nasce una delle sue figlie, mentre Scoiattolo sposa una ragazza bianca e dopo la prematura morte di lei si unisce a una ex-schiava afro-americana. Anche qui, come nella Storia del West di D’Antonio, assistiamo quindi a una ricostruzione storica da cui è bandito ogni razzismo, che viene anzi denunciato riportando le parole e le azioni di certi fanatici, anche religiosi.
I primi episodi de I Pionieri del Nuovo Mondo uscirono in Italia in formato album e a colori dal 1988, nella collana Le Avventure della Storia pubblicata dalla Glénat Italia. Dal 2013 l’intera serie è stata ripubblicata dall’inizio in formato bonellide in bianco e nero dall’Editoriale Cosmo, sull’albo West – Fumetti di Frontiera.

Les Pionniers du Nouveau Monde 17 (Glénat,2009)


Bella & Bronco n°1 (1984)


Più leggera e scanzonata è la serie di Gino D'Antonio del 1984 Bella e Bronco, su una coppia mista di simpatici avventurieri del West: un indiano civilizzato e una sensuale bionda. Questa, nel primo albo, supera i pregiudizi razziali rendendosi conto che il sesso non è per niente diverso anche se fatto con un pellerossa. Ma la simpatia dei due protagonisti non impedirà che questa originale serie si interrompa con il n°16 per il suo scarso successo, probabilmente dovuto proprio alla sua impostazione così poco convenzionale.
A proposito di D’Antonio, nel 1965 il disegnatore Antonio Canale doveva collaborare con delle leggende indiane a fumetti alla sua Storia del West, che in origine doveva uscire in forma di rivista. Quando però fu riorganizzata e pubblicata in forma di albi nella Collana Rodeo, l’idea di quei brevi racconti fu accantonata.
In seguito però Canale disegnò ugualmente alcune di quelle leggende per conto proprio, con una grafica e dei testi piuttosto sintetici chiaramente rivolti a un pubblico di ragazzi, alternandole con altre leggende popolari dei coloni anglosassoni. Queste storie brevi di Canale, tratte in parte dal folclore indiano, nel 1985 furono raccolte dall’Editoriale Lo Vecchio in un singolo album dal titolo Leggende della Vecchia America.

Leggende della Vecchia America - Collana Zodiaco n°2 (LoVecchio,1985)


Intanto negli Stati Uniti, tra gli anni ’70 e ’80 del ‘900 i fumetti western ormai erano poco più che un ricordo e negli USA qualche nuovo personaggio indiano si poteva vedere quasi soltanto sugli albi dei supereroi, o comunque in contesti molto più fantastici rispetto alle vecchie ambientazioni della frontiera americana.
In pratica si invertì la tendenza degli anni ’50, in cui erano i supereroi a essere sostituiti dagli eroi western.

Strong Bow sull'albo All-Star Western n°62 (DC,1952)


L’editrice DC Comics, fin dai primi albi della testata All-Star Western che aveva sostituito la collana di supereroi All Star Comics a partire dal n°58 del 1951, pubblicò anche le storie di un eroe indiano più o meno tradizionale di nome Strong Bow (Forte Arco), da non confondere con l’omonimo eroe indiano di produzione inglese dello stesso periodo. La sua serie era scritta da David Wood e disegnata da Frank Giacoia ed aveva la particolarità di svolgersi nell’America precolombiana, che Strong Bow percorreva in lungo e in largo in groppa a un bisonte, visto che i cavalli non erano ancora stati importati nel continente dagli Europei. Aveva quindi a che fare nel corso dei suoi viaggi con ogni sorta di popoli antichi, come per esempio gli Aztechi.
Dieci anni dopo la tendenza cominciava a invertirsi e su All-Star Western n°117 del 1961 esordì Super-Chief (Super-Capo), creato da Gardner Fox e Carmine Infantino, il primo vero supereroe indiano protagonista di una serie, anche se non di una propria testata, con una decina d’anni d’anticipo sul Red Wolf della Marvel.

Super-Chief alla sua 1°apparizione - da All-Star Western n°117 (DC,1961)

Il Super-Chief originale è l’irochese Flying Stag (Cervo Volante), vissuto nel XV secolo, che caduto in una trappola chiede aiuto al Grande Spirito ed è esaudito dalla caduta di un minuscolo meteorite. Indossandolo a mo’ di medaglione acquista super-forza, super-velocità e la capacità di volare per un’ora, oltre a una notevole longevità. Prende quindi il nome di Saganowahna, che dovrebbe significare Super-Capo in irochese, e indossando una maschera a forma di testa di bisonte che gli cela il volto, si dedica ad aiutare il prossimo.
In anni più recenti hanno indossato la pietra amuleto di Super-Chief altri tre nativi americani di epoca contemporanea, tra cui quello che ha fatto più apparizioni è l’irochese Jon Standing Bear (Jon Orso in Piedi), che ha esordito nel 2006 sul n°22 della serie 52, dedicata a una delle tante rielaborazioni dell’universo DC. Jon eredita dal nonno il copricapo dei suoi antenati e l’amuleto, e con esso i poteri di Super-Chief, per poi entrare a far parte di un’ennesima versione della Lega della Giustizia, il principale gruppo di supereroi DC.

Super-Chief nuova versione - da 52 n°24 (DC,2006)


Thomas Kalmaku alla 1°apparizione su Green Lantern n°2 (DC,1960)

Dagli anni ’60 qualche nativo americano cominciò ad apparire anche in fumetti puramente supereroistici.
È il caso del meccanico eschimese Thomas Kalmaku, creato nel 1960 da John Broome e Gil Kane in una storia di Lanterna Verde e diventato un comprimario fisso di quella serie, o dell’indiano dell’Oklahoma Wyatt Wingfoot (Wyatt Piede Alato), creato nel 1966 da Stan Lee e Jack Kirby, che ha condiviso varie avventure coi Fantastici Quattro anche senza avere da parte sua nessun superpotere ma contando solo sulle sue doti atletiche, essendo un personaggio ispirato al campione di decathlon nativo americano Jim Thorpe. 

Wyatt Wingfoot alla 1°apparizione su Fantastic Four n°50 (Marvel,1966)

 
Con questo personaggio siamo passati agli albi Marvel, su cui, dopo il giustiziere indiano Red Wolf di cui abbiamo già parlato, vari supereroi amerindi iniziarono ad apparire tra gli anni ’70 e ’80, in particolare nelle storie dei gruppi mutanti improntati alla multi-etnicità, scritte dallo sceneggiatore inglese Chris Claremont.

Il 1° Thunderbird alla 1°apparizione su Giant Size X-Men n°1 (Marvel,1975)

Già nel 1975 Il mutante apache John Proudstar, col nome di battaglia di Thunderbird (Uccello del Tuono), fece parte brevemente degli X-Men ma, nonostante la sua superforza e supervelocità, ebbe il triste primato d’essere stato tra i primi supereroi a morire su un albo americano, molto prima che la cosa diventasse di moda. Il motivo pare essere stato che il suo carattere somigliava troppo a quello di Wolverine e la decisione di sopprimerlo sarebbe stata presa dal suo stesso creatore, l’allora supervisore della la serie Len Wein.


Il 1° Thunderbird in costume - da Giant Size X-Men n°1 (Marvel,1975)

In un’altra storia degli X-Men opera di Claremont e del disegnatore anglo-canadese John Byrne, esordirono nel 1979 gli Alpha Flight, il primo supergruppo canadese la cui serie sarà poi realizzata dal solo Byrne dal 1983 e di cui fanno parte tre supereroi nativi americani. Anzitutto il dottor Michael Twoyoungmen, che non avendo potuto salvare la propria moglie morente con la scienza medica dei bianchi, alla fine ha accettato il suo retaggio e, col nome di Shaman (Sciamano), usa il potere della magia indiana ereditato da suo nonno.

Sciamano alla 1°apparizione su Uncanny X-Men n°121 (Marvel,1979)


La nascita di Snowbird da Alpha Flight n°7 (Marvel,1984) in italiano su Speciale Alpha Flight (StarComics,1989)



Figlia adottiva di Sciamano è poi una ragazza dalle origini divine di nome Narya, che lui stesso fece nascere magicamente assistendo nel parto sua madre, la dea eschimese Nelvanna. Tale giovane semidea indiana, che può assumere la forma di qualsiasi animale canadese, volare e disporre di altre facoltà divine, fa a sua volta parte degli Alpha Flight col nome di Snowbird (Uccello delle Nevi), essendo il gufo artico la principale incarnazione che ha scelto. In seguito anche la vera figlia di Sciamano, Elizabeth, avendo ereditato poteri magici analoghi a quelli del padre, si unì a sua volta al loro gruppo facendosi chiamare Talisman.

 
Danielle Moonstar da New Mutants n°18 (Marvel,1984)

Claremont inserì nelle sue storie altri supereroi nativi americani, forse rimpiangendo d’aver fatto morire Thunderbird dopo due soli episodi. La mutante cheyenne Danielle Moonstar apparve nella sua serie The New Mutants (I Nuovi Mutanti) fin dai primi episodi, nel 1982, e in seguito prese il nome di Mirage dato il suo potere di proiettare telepaticamente illusioni che danno forma a paure e desideri. Col tempo affinò le sue facoltà imparando, da buona cheyenne, a comunicare mentalmente con gli animali e a lanciare una sorta di frecce o dardi mentali, dando perfino consistenza fisica a questi o ad altri oggetti creati dalla sua mente.

Forge alla 1°apparizione su Uncanny X-Men n°184 (Marvel,1984)


Nel 1984 fu la volta di un altro mutante cheyenne, Forge, apparso nelle storie degli X-Men dal n°184, prima quasi come avversario, dato che lavorava per l’esercito americano, e in seguito come membro del gruppo.
Dotato di poteri mistici empatici, che ha affinato sotto la guida di uno sciamano ma che ha poi deciso di applicare alla tecnologia, Forge è un inventore capace di creare apparecchiature avanzatissime coi mezzi più scarsi e di comunicare con le macchine che inventa controllandole per empatia, il ché deve tornargli utile dato che lui stesso è in parte cyborg, avendo perso una gamba e una mano nella guerra del Vietnam.

Forge in versione guerriero (Marvel)


Col tempo Forge, in mano ad altri autori, si sarebbe allontanato dall’iniziale caratterizzazione raffinata con cui lo aveva concepito Claremont, adeguandosi abbastanza alla moda degli eroi nerboruti e violenti tipici degli anni ’90, il ché gli permise di sfoggiare un look quasi da guerriero indiano che inizialmente non aveva.
Sempre nel 1984, sul n°16 de I Nuovi Mutanti, Claremont rimediò all’aver eliminato Thunderbird nove anni prima facendone comparire un fratello minore dai poteri simili ma con forza e resistenza maggiori, James Proudstar. Quest’altro apache mutante esordì, col nome di Thunderbird II e un costume simile al defunto, come nemico degli X-Men, incolpandoli della morte del fratello, ma poi non diede corso alla propria vendetta.

Il 2° Thunderbird da Uncanny X-Men n°193 (Marvel,1985)


Tempo dopo, essendo tornato al suo villaggio solo per trovare la sua gente massacrata, James Proudstar prese il nome di Warpath (Sentiero di Guerra) e per potersi vendicare stavolta passò dalla parte dei “buoni” entrando nei Nuovi Mutanti, presto diventati X-Force. Poi Warpath ha fatto parte anche degli X-Men e col tempo i suoi poteri sono stati ulteriormente incrementati. Tra l’altro, come ogni indiano che si rispetti, ha i sensi enormemente sviluppati e usa come armi dei grossi coltelli. Nel 2014 si può dire che Warpath sia stato scelto a rappresentare i supereroi nativi americani al cinema, nel film X-Men – Giorni di un Futuro Passato.

Warpath da Uncanny X-Men n°488 (Marvel,2007)


Dawnstar della Legione dei Super-Eroi (DC)


Anche sulle pagine dei gruppi di supereroi della DC avevano cominciato ad apparire nel 1977 dei membri nativi americani, sotto forma di un paio di affascinanti eroine volanti dalle evidenti origini amerinde.
La bella Dawnstar (Aurora), entrata quell’anno a far parte del gruppo del futuro chiamato Legione dei Super-Eroi, per fisionomia e abbigliamento è immediatamente riconoscibile come una ragazza indiana, se non fosse per un bel paio d’ali angeliche che le permettono di viaggiare nello spazio alla velocità della luce e che ne rendono altrettanto chiara la natura extraterrestre, peraltro comune a quasi tutti i membri della Legione.
Si sarebbe poi chiarito come gli abitanti del pianeta di cui Dawnstar è originaria, il cui nome Starhaven in inglese suona come Paradiso delle Stelle, fossero discendenti degli indiani Anasazi, rapiti da degli alieni e sottoposti a mutazioni genetiche. Tali esperimenti spiegherebbero, anche se in modo estremamente semplicistico e comodo, come Dawnstar possa respirare e volare nello spazio senza tuta e seguire facilmente le tracce di qualunque astronave attraverso il vuoto cosmico, da buona discendente dei pellirosse…

Owlwoman (DC)

Ha caratteristiche almeno in apparenza più umane la giovane kiowa Wenona Littlebird, che col nome di Owlwoman (Donna Gufo), esordì come supereroina al fianco di Hawkman (l’Uomo Falco) sull’albo Super Friends n°7. Anche i suoi poteri, che consistono soprattutto nel volare cavalcando i venti e nella capacità di vedere al buio, sarebbero dovuti alla magia indiana, più o meno come quelli di Sciamano. Owlwoman trovò poi una sua collocazione nel gruppo internazionale denominato Global Guardians (i Guardiani Globali).


Arak Son of Thunder n°1 (DC,1981)


Perfino sulla serie fantasy The Warlord (Il Signore della Guerra) ambientata nel mondo perduto di Skartaris, con cui la DC riuscì a fare concorrenza al Conan della Marvel, nel 1981 lo sceneggiatore Roy Thomas e il disegnatore Ernie Colón inserirono un comprimario nativo americano. Il personaggio in questione, un nerboruto guerriero chiamato Arak, sembra quasi una versione indiana proprio di quel Conan il Barbaro di cui Thomas è stato a lungo sceneggiatore e divenne subito dopo protagonista a sua volta di una serie di albi dai contenuti altrettanto fantasy, Arak Son of Thunder, durata cinquanta numeri fino al 1985. Figlio di un dio del Tuono e appartenente all’immaginaria tribù dispersa dei Quontauka, Arak è originario dell’epoca corrispondente al nostro Medioevo e fu condotto nel continente europeo da dei predoni vichinghi.

Coyote da Alien n°1 (Labor,1985)


È stato invece fin da subito protagonista di una propria serie personale l’eroe mistico Coyote, creato anch’esso nel 1981, le cui storie contengono dei riferimenti molto precisi alle leggende su questo spirito animale particolarmente importante nelle tradizioni indiane di quasi tutto il Nord-America.
La prima storia di Coyote, opera dell’originale scrittore Steve Englehart e del raffinato disegnatore Marshall Rogers uscì a puntate sulla rivista Eclipse e fu ristampata dallo stesso editore nell’album I Am Coyote (Io Sono Coyote). Subito dopo Coyote fu protagonista di una serie di sedici albi edita dal 1983 dalla Epic, l’etichetta con cui all’epoca la Marvel si rivolgeva al pubblico più maturo. I testi erano sempre di Englehart, mentre i disegni dei primi due numeri furono affidati alla sapiente pennellata di Steve Leialoha.


I Am Coyote (Eclipse,1983)


Il protagonista di Coyote non è lo spirito delle leggende ma un orfano allevato nel deserto da uno sciamano folle e da una specie di vampira, che gli fecero sviluppare il potere di viaggiare tra il mondo fisico e quello delle ombre, di separarsi dal proprio corpo, rendersi invisibile o assumere le fattezze di chiunque. In pratica sono facoltà simili a quelle del Coyote mitico e a volte nel mondo invisibile i due omonimi si incontrano.
I nemici principali di Coyote sono i membri del Consiglio delle Ombre, una setta segreta che usa a sua volta analoghi poteri magici per influenzare la politica internazionale infiltrandosi nei governi nordamericani.


Coyote disegnato da Leialoha (Marvel-Epic)


È invece slegata dal mondo dei supereroi la pregevole serie Timespirits (Spiriti del Tempo), scritta da Steve Perry, splendidamente disegnata da Tom Yeats e edita dalla Epic in otto numeri, tra il 1984 e il 1986.
I protagonisti sono l’anziano ma arzillo sciamano Cusick dei Tuscarora, che grazie ai suoi viaggi extratemporali ha vaste conoscenze di epoche diverse e culture lontanissime tra loro, e un ragazzo di nome Doot, fratello del capo degli indiani Wawenoc, che dimostra di possedere notevoli poteri mistici naturali. 


Timespirits n°1 (Marvel-Epic,1984)

 
Nel primo episodio di Timespirits, ambientato nel Nord-America del XVII secolo e incentrato sui conflitti tra i primi coloni e gli indiani, Doot e Cusick si incontrano e iniziano a viaggiare insieme per magia nei luoghi e nelle epoche più disparate, con l’anziano che educa il più giovane a diventare uno “spirito del tempo”, sempre in azione per tentare di migliorare il corso della storia e l’evoluzione spirituale dell’Umanità, rovinando i piani di quanti invece vorrebbero farla regredire controllando e asservendo gli altri esseri umani.
Sul n°6 di Timespirits, ambientato nel Guatemala del 1980, si descrivono le miserevoli condizioni di vita degli indios, dovute allo sfruttamento capitalistico delle loro terre da parte delle compagnie nordamericane, appoggiate da una guardia nazionale che massacra tutti coloro che osano ribellarsi a tale stato di cose. 


Timespirits n°6 (Marvel-Epic,1985)

 
La denuncia degli autori, anziché fermarsi ai soli genocidi del passato, si fa qui ben più attuale, mostrando esplicitamente anche le ingiustizie e le stragi del presente, gli odierni soprusi sull’Uomo e la Natura. Tra l’altro i protagonisti hanno portato con loro dal futuro una donna aliena seminuda, dalla pelle azzurrina striata e dalle orecchie a punta, che, nelle scene in cui attacca i soldati governativi lanciandosi dagli alberi, anticipa con sospetta precisione scene analoghe che sarebbero apparse nel film Avatar di James Cameron…
Sul n°7 di Timespirits invece i due viaggiatori del tempo incontrano dei vittoriosi guerrieri sioux, apparendo brevemente nel bel mezzo della battaglia di Little Big Horn, per impossessarsi dello spirito morente di Custer.
I primi episodi della serie regolare di Coyote e di Timespirits sono usciti in Italia nel 1985 sulla rivista Alien edita dalla Labor Comics, purtroppo con traduzioni sinceramente pessime e in certi punti quasi inventate.


Timespirits n°7 pag4-5 (Marvel-Epic,1985)



1984-1997: fine e rinascita del genere indian western

A metà anni ’80 il filone delle storie di indiani sembrava esaurito insieme a quello western e ciò valeva sia per il cinema che per il fumetto. Infatti tra il 1985 e il 1995 è difficile trovare una nuova serie a fumetti dedicata ai Nativi Americani. Perfino un autore specializzato nel genere come Paolo Eleuteri Serpieri in quel periodo interruppe la produzione di storie a fumetti sui pellirosse per dedicarsi all’erotismo fantascientifico di Druuna (è intermedia tra i due generi la sua storia La Bestia, uscita su L’Eternauta n°22 del 1984).

La Bestia di Eleuteri Serpieri, da L'Eternauta n°22 (1984)

Gli indiani di Andrea Pazienza da Corto Maltese n°1 del 1984


Invece Andrea Pazienza, sempre in controtendenza, nel 1984 pubblicò sulla rivista Corto Maltese una Piccola Guida del West in cui naturalmente dedicò qualche pagina anche agli Indiani, dividendoli provocatoriamente in “abominevoli” e “evoluti”, in base ai ruoli loro assegnati nei vecchi film di una volta. Questa sua parodia sembrava comunque il sigillo definitivo di un’epoca, visto che anche nelle edicole italiane, per decenni consacrate soprattutto al genere western, a parte gli inossidabili e ancor oggi vitali Tex e Zagor, a fine anni ’80 di fumetti sul West uscivano ormai quasi solo delle ristampe, come quella della Storia del West di Gino D’Antonio o altre dedicate a vecchie glorie del passato come Capitan Miki. Il settecentesco Comandante Mark dal 1990 continuò per qualche anno a uscire sotto forma di speciali annuali, mentre l’antieroe filo-indiano Ken Parker per sopravvivere era dovuto migrare su riviste come Orient Express e Comic Art. Insomma anche il fumetto italiano risentiva del fatto che di film western ormai non se ne facevano più neppure negli USA.

Balla coi Lupi, edizione originale del romanzo di Michael Blake (1988)


Contemporaneamente si stava però preparando un inatteso rilancio dell’intero genere western, innanzitutto cinematografico, ad opera di un relativamente oscuro scrittore. Michael Blake aveva al suo attivo il testo di una sola pellicola quando all’inizio degli anni ’80 scrisse il soggetto del film Dances with Wolves (Balla coi Lupi). Ma visto che il cinema western era ormai dato per morto e sepolto, all’inizio nessun produttore volle acquistarlo (tutti quelli che l’hanno avuto tra le mani, ora saranno ancora lì a mordersele dalla rabbia…).
Fu Kevin Costner, l’attore protagonista del precedente film scritto da Blake, a incoraggiare l’autore a trasformare quel soggetto in un romanzo nel 1986, in modo che ci fossero poi maggiori possibilità di farne un film. Ci vollero altri due anni per trovare un editore che pubblicasse il libro, ma lo stratagemma funzionò oltre le aspettative, visto che divenne subito un best seller (tradotto anche in italiano da Sperling e Kupfer).
Poiché Costner era stato abbastanza previdente da opzionare i diritti di Balla coi Lupi, fu lui stesso a dirigerne e interpretarne la versione cinematografica, ovviamente sceneggiata da Blake, che uscita nel 1990 fece incetta di premi, tra cui ben sette Oscar. Eppure a ben vedere non era poi una storia originalissima…

Paul Newman è John Russel nel film Hombre (1967)


L’idea del bianco adottato dagli indiani non era per niente nuova, neanche per il cinema. Una parte simile fu interpretata per esempio anche da Paul Newman, nel film del 1967 Hombre, in cui è appunto un bianco che vive con gli Apache e che cerca di fare gli interessi dei suoi fratelli rossi contro coloro che li derubano, mentre la trama rievoca in parte quella di Ombre Rosse, solo che qui gli aggressori sono dei banditi bianchi.

Balla coi Lupi, poster originale (1990)


Ma soprattutto Balla coi Lupi ricalca da vicino la trama de Un Uomo Chiamato Cavallo, anch’egli adottato dagli indiani da adulto, sposatosi tra di loro e schieratosi al loro fianco per difendere il villaggio da un attacco di indiani nemici. Ad accentuare ulteriormente il parallelo c’è il fatto che gli indiani di Balla coi Lupi, che in origine nel libro erano dei Comanche, al cinema divennero Sioux, proprio come nel modello precedente.
Ma la nuova pellicola aveva uno stile più moderno e accattivante, oltre che più furbo. Gli elementi duri e violenti della cultura Sioux, che caratterizzavano Un Uomo Chiamato Cavallo, in Balla coi Lupi sono molto ammorbiditi, quasi a rappresentare gli indiani in modo un po’ edulcorato. Certi dettagli truci, che per la verità nel romanzo di Blake sono presenti, nel film passano sotto silenzio, come gli scalpi appesi alle maniche degli indiani, che se ci si fa caso ci sono anche al cinema ma qui non sembrano essere notati dal protagonista.

Kevin Costner è Balla coi Lupi nel film omonimo del 1990


Soprattutto dalla versione più diffusa del film fu tagliata la scena in cui si scopre che gli indiani hanno torturato e ucciso certi cacciatori di bisonti… Nel libro quindi il protagonista sa bene di unirsi a dei nativi che hanno l’abitudine di massacrare i bianchi, se compiono quelli che ai loro occhi appaiono dei crimini, mentre nel film dopo il taglio di quella scena sembrano una tribù che coi bianchi non ha avuto quasi mai a che fare.
Nel romanzo anche la strage della famiglia della futura sposa di Balla coi Lupi è stata compiuta da quegli stessi indiani Comanche che l’hanno adottata da bambina, mentre nel film è attribuita ai loro nemici Pawnee.
Inoltre in Balla coi Lupi, Blake e Costner hanno l’accortezza di rendere ogni scena più comprensibile e facile da seguire, traducendo in sottotitoli l’autentica lingua Sioux Lakota parlata dagli indiani e facendo raccontare la storia dalla voce fuori campo del protagonista. Altrimenti molte scene avrebbero dovuto essere mute o poco chiare, date le iniziali difficoltà di comunicazione con gli indiani. Come risultato, anche se il film di Costner dura tre ore, è molto più scorrevole del suo precursore del 1970 che di ore ne durava meno di due.

Balla coi Lupi, un'edizione italiana del romanzo (1991)


Rispetto a Un Uomo Chiamato Cavallo, la principale novità di Balla coi Lupi sta nel fatto che chi si converte al modo di vivere indiano prendendo il nome del titolo è un ufficiale dell’esercito, il tenente John Dunbar.
Tale novità comunque può valere per il cinema ma non certo per il fumetto, visto che, come abbiamo già notato in una precedente puntata, una scelta molto simile era già stata compiuta oltre trentacinque anni prima dal Sergente Kirk, l’eroe rinnegato creato in Argentina da German Oesterheld e Hugo Pratt.

Graham Greene è lo sciamano Uccello Scalciante in Balla coi Lupi


Un’altra differenza è che Balla coi Lupi, come Kirk, non è fatto prigioniero dagli indiani ma si unisce a loro spontaneamente. Poi però si sposa con una donna bianca da loro adottata, mentre l’Uomo Chiamato Cavallo sposava una donna sioux. Almeno dal punto di vista dell’integrazione razziale, pare quindi che certi film filo-indiani precedenti potessero riuscire ad apparire più progressisti rispetto a un film dei 1990…
Inoltre Un Uomo Chiamato Cavallo aveva più coerenza storica, essendo ambientato in un XVIII secolo in cui veramente i Sioux potevano non aver mai visto un bianco, e ricostruiva con maggior cura e precisione i loro usi, riti e costumi. In Balla coi Lupi, anche se ci si preoccupa di far parlare ad attori indiani di vari popoli la vera lingua Lakota, gli autori commettono errori storici madornali considerando Comanche e Sioux quasi interscambiabili. Tutto il discorso del capo Dieci Orsi sui passati rapporti con Spagnoli, Messicani e Texani nel libro poteva benissimo attenere alla storia dei Comanche, che vivevano ai confini del Texas, ma nel film non è più molto verosimile perché gli indiani sono diventati Sioux, e i Sioux vivevano molto più a Nord…

Bocca del Diavolo - edizione italiana - da Comic Art n°72 (1990)


Nei fumetti intanto gli indiani erano ancora abbastanza in letargo, a parte qualche saltuaria apparizione di indiani moderni, come il medium Godfrey su Dylan Dog n°30 o gli operai nativi americani che lavorano sui grattacieli in costruzione nel bel romanzo a fumetti francese Bocca del Diavolo, scritto e disegnato in modo splendido rispettivamente da Jerôme Charyn e François Boucq e pubblicato nel 1989 dall’editrice Casterman.
In questa storia l’anziano indiano Red Eagle (Aquila Rossa) ha un ruolo importante innanzitutto nel condividere alcuni riti della sua cultura per contribuire all’evoluzione interiore del protagonista, la giovane spia sovietica Yuri, alias Billy Budd, che in missione negli Stati Uniti decide infine di tradire la sua vecchia causa, avendo preso gradualmente coscienza dei metodi violenti e spietati dei suoi superiori.
Red Eagle, da buon guerriero indiano, nel finale aiuterà Yuri-Billy anche ad affrontare fisicamente i suoi avversari, ovvero i suoi ex-capi che ormai hanno intenzione di eliminarlo. In un paio di punti particolarmente enigmatici e affascinanti della storia, sembra addirittura che l’anziano pellerossa usi la magia indiana.
Bocca del Diavolo è uscito in Italia a puntate su Comic Art dal n°71 al 73, nel 1990, e poco dopo in volume.

La strage di Wounded Knee da Martin Mystère n°125 (SBE,1992)


Sulla scia del successo di Balla coi Lupi, un altro piccolo parziale disgelo si ebbe anche nel 1992 su Martin Mystère n°125, con l’episodio Neve d’Agosto scritto da Michelangelo La Neve e disegnato da Giancarlo Caracuzzo. La storia rievoca direttamente la strage di Wounded Knee, l’ultima compiuta dagli Americani ai danni dei nativi, tirando in ballo complotti che potrebbero provocare di nuovo qualcosa di simile. 

Martin Mystère n°125 (SBE,1992)

 
Mystère e Java compiono in pratica una sorta di percorso iniziatico, un vero e proprio viaggio sciamanico che dovrebbe realizzare una precisa visione e che sarebbe stato profetizzato in degli antichi dipinti indiani. In un Agosto innevato come quello che ci fu nel Sud Dakota nel 1890, poco dopo il centenario di quella strage, i due protagonisti accompagnano sul luogo in cui avvenne alcuni giovani discendenti dei superstiti, per aiutarli a chiudere il cerchio e ripristinare l’equilibrio perduto. In pratica devono riuscire a rendere di nuovo integra l’anima spezzata di un popolo, anche se, per quanto sia poetico, cosa significhi di preciso tutto ciò e come sia possibile rimane molto vago e viene spiegato solo richiamandosi genericamente alla magia indiana.
Neve d’Agosto è un racconto a tratti fantastico, con Mystère che grazie alla suggestione indiana spinge oltre i limiti la resistenza del suo corpo al freddo e alla fatica. Gli autori rievocano il genocidio compiuto dai bianchi schierandosi totalmente dalla parte dei Nativi Americani e mostrando come possibile il ripetersi di quel tipo di violenze (cosa che negli anni del terrorismo globale non appare più nemmeno come una gran forzatura…).


L'Ultimo dei Mohicani (versione del 1992), poster originale


Con l’inatteso successo di Balla coi Lupi non ci volle molto perché apparissero anche altri film western, in alcuni casi con la cultura indiana messa nuovamente in primo piano e vista con più rispetto che in passato.
Uno dei primi fu l’ennesima versione cinematografica del romanzo L’Ultimo dei Mohicani, diretta da Michael Mann nel 1992. Del resto anche Occhio di Falco, il protagonista del ciclo della frontiera di Fenimore Cooper qui ottimamente interpretato da Daniel Day-Lewis, è un bianco adottato dagli indiani proprio come Balla coi Lupi, anche se dimostra di essere dotato di ben maggiore esperienza e abilità guerresca. L’urone Magua, il cattivo della storia, è invece interpretato da Wes Studi, lo stesso attore nativo americano che in Balla coi Lupi era il capo degli indiani Pawnee nemici dei Sioux e che qui ha modo di farsi notare molto di più.

L'urone Magua da The Last of the Mohicans n°3 (Marvel,2007)


In fondo la vecchia tendenza a dividere gli indiani in buoni e cattivi resisteva, ma la discriminante non era più nel vedere come indiani buoni quelli alleati dei bianchi. Anzi, visto che i bianchi e i soldati erano ormai visti per lo più come cattivi, ora gli indiani loro nemici potevano più spesso essere considerati come i buoni…
La conseguenza fu che una volta tanto, nel 1993, si poté vedere un film abbastanza obiettivo su uno dei più importanti capi apache, considerato a lungo in molti film e fumetti solo alla stregua di un sanguinario assassino, anche a causa di molte menzogne ed esagerazioni diffuse sul suo conto dai giornali americani. 


Geronimo in una foto del 1898
 

Nel film scritto da John Milius e diretto da Walter Hill intitolato Geronimo: an American Legend (e in italiano più semplicemente Geronimo), per la prima volta la parte del titolo andò a un nativo americano autentico. Nei film precedenti questi potevano interpretare ogni ruolo tranne essere i protagonisti… e anche qui vari personaggi rilevanti interpretati da attori bianchi hanno quasi più spazio di Geronimo. Comunque l’onore toccò proprio a Wes Studi, che al terzo film in quattro anni poté infine scrollarsi di dosso il ruolo stereotipato del cattivo per interpretare un eroe indiano molto più sfaccettato e dotato giustamente di luci e ombre.

Geronimo, poster originale del film del 1962


In realtà non era la prima volta che Geronimo era visto sotto una luce un po’ più positiva. Già nel 1962 il capo apache era stato protagonista di un film intitolato Geronimo!, diretto da un certo Arnold Laven, ma naturalmente ai quei tempi era stato interpretato da un attore anglosassone, Chuck Connors.
Ma il film di Hill, ambientato nell’ultimo anno prima della resa di Geronimo, a parte poche concessioni romanzesche è storicamente ben più accurato di ogni altra pellicola precedente in cui questi sia mai apparso. Le violenze del protagonista non sono nascoste ma neanche sbandierate e si spiegano come vendette per le stragi che i bianchi compirono per primi contro gli Apache, anche per fomentare la guerra per i loro scopi. 

Geronimo interpretato da Wes Studi nel film del 1993



Geronimo, poster italiano del film del 1993
 

Si mette anche l’accento sull’amicizia di Geronimo verso un ufficiale che tratta gli indiani con rispetto e che gli ruba un po’ la scena, il tenente realmente esistito Charles Gatewood, che gli Apache chiamavano Grande Naso Capitano e che fu davvero colui che alla fine riuscì a convincere Geronimo ad arrendersi.
Ma il miglior attore del film è Robert Duvall nel ruolo del cacciatore di indiani Al Sieber, personaggio storico che sembra uscito da un episodio di Blueberry e che paradossalmente muore per difendere un apache.

Geronimo, poster originale del film del 1993


Nel finale, oltre a far notare come le promesse dei bianchi non furono mantenute, visto che a Geronimo e ai suoi non fu permesso mai più di tornare nelle loro terre, si vede anche come non furono arrestati ed esiliati in Florida solo i membri della sua banda ma tutti gli Apache Chiricahua della zona, anche quelli che non avevano combattuto contro gli Americani ed erano rimasti più o meno pacificamente nelle riserve.

Il vero Chato in una foto d'epoca


Tra gli Apache ingiustamente esiliati c’è anche il capo guerriero Chato, anch’egli realmente esistito, che dopo aver accettato la pace con gli Americani aveva aiutato il generale Crook a ritrovare Geronimo quando fuggì in Messico. Per una semplificazione narrativa nel film Chato è trasformato da capo apache in una delle guide indiane dell’esercito che accompagnano poi da Geronimo anche il tenente Gatewood. Comunque anche le guide apache in questione furono premiate dai bianchi per i loro servigi con la prigionia e l’esilio in Florida…


Floyd Red Crow Westerman è il capo Dieci Orsi in Balla coi Lupi. Ritroviamo l'attore anche in Jonathan degli Orsi.


Nel 1993 arrivò anche un Balla coi Lupi nostrano, ovvero Jonathan degli Orsi, film italo-russo rispettivamente diretto e interpretato da due veterani degli spaghetti-western, Enzo Castellari e Franco Nero. Quest’ultimo è Jonathan Kowalsky che, rimasto orfano da bambino, è stato allevato prima da un orso e poi dagli indiani.
Un legame diretto con Balla coi Lupi è costituito dalla presenza anche qui dell’attore Floyd Red Crow Westerman, che in entrambe le pellicole interpreta un capo sioux e per la precisione il capo Dieci Orsi dei Lakota nel film di Costner e il capo Tawanka dei Dakota nel film di Castellari. Alla distinzione tra queste due nazioni sioux, i Lakota che vivevano nelle vaste praterie dell’Ovest e i Dakota che invece vivevano presso le foreste del Nord, corrisponde correttamente l’ambientazione abbastanza diversa dei due film.


Franco Nero e Melody Robertson nel film Jonathan degli Orsi


Anche in Jonathan degli Orsi la cultura indiana è rappresentata con rispetto, con prese di posizione non solo antirazziste (con Jonathan che tra l’altro sposa una sioux, benché interpretata da un’attrice anglosassone) ma anche ecologiche, visto che i “cattivi” di turno vogliono impossessarsi delle terre indiane per il petrolio.
Per trovare un ambiente abbastanza incontaminato Jonathan degli Orsi fu girato in Russia e, non disponendo di altri attori Nativi Americani oltre a Westerman, molti indiani sono interpretati da comparse di stirpe mongola, ma nonostante lo sforzo produttivo nell’insieme trama e messa in scena risultano un po’ antiquate.


Jonathan degli Orsi, poster italiano (1993)


In effetti il barbuto personaggio di Jonathan Kowalsky impersonato da Franco Nero, somiglia molto a quello di Keoma da lui interpretato nel film omonimo del 1976, sempre diretto da Castellari che dichiarò di considerarlo il suo capolavoro. Keoma, al contrario di Jonathan, è un mezzosangue allevato dai bianchi ma bistrattato e umiliato dai fratellastri, in un film che non mostra nulla dei veri Nativi Americani ed esprime solo una generica denuncia contro il razzismo, ma che sotto molti aspetti risulta più evocativo e coinvolgente, anche grazie all’incalzante colonna sonora di Guido e Maurizio De Angelis che ricorda le ballate di Joan Baez. 

Franco Nero è Keoma nel film omonimo del 1976

 
Tra i due film, oltre all’aspetto di Franco Nero, ci sono anche altri punti in comune, con entrambi gli eroi che a un certo punto vengono crocifissi, in scene simboliste degne di un film o un fumetto di Jodorowski.

Pocahontas nel film Disney del 1995


Anche la Disney seguì la nuova tendenza, producendo come suo 33° lungometraggio d’animazione il film Pocahontas, diretto da Mike Gabriel e Eric Goldberg e uscito nel 1995, il cui stile sotto molti aspetti è molto più realistico e accurato dal punto di vista storico ed etnologico di tutti i film disneyani precedenti. 

Una scena dal film Pocahontas (1995)

 
La pellicola però si basa solo a grandi linee sulla vera storia dell’omonima giovane “principessa” degli indiani Powhatan, che agli inizi del XVII secolo salvò veramente la vita del capitano John Smith catturato dal suo popolo, intercedendo presso il capo suo padre e impedendo in extremis che venisse giustiziato.
Tale scena ne avrebbe ispirate altre analoghe in tanti racconti dell’immaginario western, da Salgari a Tex.

Pocahontas in un ritratto del 1616


Pocahontas è la trascrizione inglese del soprannome Pokahantesù, che in algonchino significa Colei che si Diverte con Qualcosa, ma il vero nome indiano della protagonista era Matoaka (Colei a cui Piace Giocare). Sono evidentemente nomi appropriati per una bambina e tale era Pocahontas all’epoca degli avvenimenti, visto che a detta del capitano Smith quando lo salvò nel 1608 aveva solo undici anni, mentre secondo altre fonti poteva averne al massimo tredici. Invece nel film, come nella leggenda che col tempo travisò quei fatti, la principessa indiana è una ragazza in età da marito, il ché rende possibile la famosa storia d’amore con John Smith che nella realtà non sembrerebbe esserci mai stata, data anche la sua tenera età. Comunque non avendo la vera Pocahontas lasciato nessuno scritto, poiché non sapeva leggere né scrivere, nessuno può sapere con certezza quali fossero i suoi veri sentimenti verso lo straniero che aveva salvato.
Anche i contrasti tra i Powhatan e la prima colonia della Virginia nel film Disney sono molto semplificati. In realtà i Powhatan erano una confederazione di almeno trenta tribù diverse suddivise in circa duecento villaggi. Quindi se avessero voluto avrebbero potuto sterminare con facilità la piccola colonia di Jamestown.

Pocahontas nel film The New World del 2005, interpretata da Q'orianka Kilcher

Molto più fedele alla realtà storica è il bel film dal vero diretto con la consueta sensibilità poetica da Terrence Malick nel 2005 intitolato The New World (Il Nuovo Mondo), con Colin Farrell nella parte di John Smith.
Anche qui Pocahontas all’inizio sembra un po’ troppo grande, visto che per tutto il film è interpretata dalla stessa attrice, la cantante peruviana allora quindicenne Q'orianka Kilcher, ma almeno in questo film si comporta più da bambina sognatrice che da vera e propria amante innamorata. Inoltre nel film di Malick si mostra come i Powhatan rifornirono di cibo gli invasori bianchi quando rischiavano di morire di fame…
Si racconta inoltre il seguito della vicenda dopo la partenza di John Smith, con Pocahontas che a diciassette anni è presa in ostaggio a tradimento dai coloni e a diciannove sposa il gentiluomo inglese John Rolfe (qui interpretato da Christian Bale), che la porta con sé in Inghilterra dove muore di vaiolo a soli ventidue anni.


Tie My Bones to Her Back di Robert F. Jones - copertina originale (1996)

 
Naturalmente anche in campo strettamente letterario non mancarono gli emuli di Balla coi Lupi
Per esempio lo scrittore americano Robert F. Jones narrò a sua volta di un uomo e di una donna bianchi adottati dagli indiani nel romanzo del 1996 Tie My Bones on Her Back ("Legate le Mie Ossa al Dorso di Lei"), poi ribattezzato più semplicemente The Buffalo Runners ("I Contrabbandieri di Bisonti") e pubblicato invece in Italia col titolo Sulle sue Tracce Vanno i Lupi Bianchi. I protagonisti sono due americani d’origine tedesca fratello e sorella, Otto e Jenny Dousmann, che inizialmente vanno insieme a caccia di bisonti in territorio indiano, in totale dispregio dei trattati che a quei tempi praticamente nessun bianco osservava.
Nelle loro cacce alle mandrie delle praterie Otto e Jenny sono accompagnati tra gli altri dal mezzosangue Tom Shields, il cui vero nome è Two Shields (Due Scudi), che paradossalmente usa i soldi che guadagna con la caccia ai bisonti per comprare in segreto dei fucili a ripetizione destinati ai suoi fratelli Cheyenne. 

Tie My Bones to Her Back, edizione italiana (Rizzoli,1998)

 
Dopo che Jenny è stata violentata da altri due cacciatori e Otto ha perso un braccio e quasi tutte le dita in una tormenta di neve, i due fratelli si rifugiano presso la famiglia cheyenne di Tom e in breve si integrano nella vita del villaggio, diventando due veri cacciatori e guerrieri indiani, nonostante l’una sia una donna e l’altro un mutilato, al punto da essere altrettanto spietati dei veri cheyenne verso i loro nemici bianchi. Il romanzo di Jones è infatti molto più crudo e realistico rispetto al relativamente edulcorato Balla coi Lupi.
Gli indiani qui appaiono sotto due punti di vista opposti e complementari, quello di un popolo ridotto alla fame dai bianchi, al punto che certe madri sono costrette a sopprimere in segreto i figli appena nati per aumentare le possibilità di sopravvivenza degli altri, e quello di chi li considerava dei feroci selvaggi, che tra l’altro smembravano i nemici uccisi cosicché i loro spiriti così mutilati non fossero in grado di vendicarsi.

Magico Vento 1 (SBE,1997)


L’anno dopo l’uscita del romanzo di Jones apparve in un fumetto un ennesimo bianco adottato dagli indiani, che combatterà dalla loro parte senza farsi troppi scrupoli nell’uccidere i soldati americani in battaglia.
Nel 1997, con la serie della Bonelli Magico Vento scritta da Gianfranco Manfredi, toccò ancora una volta a un militare, un uomo che ha perso la memoria di nome Ned Ellis, unirsi alla Nazione Sioux, stavolta diventando un loro sciamano. La faccenda dell’ex-soldato che diventa sioux può ricordare Balla coi Lupi, ma il volto del protagonista è ispirato all’attore Daniel Day-Lewis come appare nel film L’Ultimo dei Mohicani.

Magico Vento 16 - disegno a china della copertina (SBE,1998)


Soprattutto all’inizio in Magico Vento si fondono western e horror e in questo senso è anche significativo che come spalla dell’eroe sia stato scelto proprio un giornalista soprannominato Poe, praticamente identico al famoso scrittore americano che fu al tempo stesso uno dei più grandi autori di storie gotiche e il precursore di quelle d’ambientazione western. Western e horror sono anche i generi con cui la Bonelli aveva riscosso in precedenza i maggiori successi grazie al classico Tex e al nuovo eroe Dylan Dog.
Una simile commistione poteva ricordare troppo Zagor, ma la precisione nella ricostruzione di un’epoca e nei riferimenti alla vera cultura indiana, rendono la serie di Manfredi più moderna e originale, in particolare dal punto di vista storico-etnologico, mentre i temi trattati si spostano dall’horror alla vera vita degli indiani. 

Magico Vento e Poe - illustrazione di Goran Parlov

 
Va detto che Zagor, pur abbondando di citazioni cinematografiche e letterarie e avendo subito col tempo un’evoluzione, resta un personaggio tutto sommato classico, che pur senza essere infallibile affronta conflitti in cui buoni e cattivi sono abbastanza distinti e i personaggi citati mantengono le caratteristiche originarie.
Invece in Magico Vento, come in Ken Parker prima di lui, ruoli e trame risultano molto più sfumati e complessi e le storie si possono definire veramente postmoderne, poiché rielaborano gli archetipi narrativi delle avventure senza pretese del passato in racconti molto più introspettivi e con ambizioni di maggior spessore letterario (non va dimenticato che Gianfranco Manfredi è anche un autore di romanzi…).

Nuvola Rossa in Magico Vento n°16 - da Classici del Fumetto di Repubblica Serie Oro n°64 del 2005


Un aspetto fondamentale della saga di Magico Vento, essendo questi uno sciamano, è di addentrarsi a fondo nella spiritualità e nella mitologia indiana, sviscerandoli come nessun fumetto seriale aveva mai fatto prima.
Nel n°16, disegnato da Goran Parlov, Ned inizia a incontrare famosi capi sioux come Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo, anche se per il momento solo in delle visioni, in cui rivive in prima persona episodi del loro passato. 

Cavallo Pazzo da Magico Vento n°100 (SBE,2005)

 
È curioso che in Magico Vento i capelli di Cavallo Pazzo siano biondi. Forse siccome da giovane i suoi nomi erano Capelli Chiari e Ricciuto, l’autore ha pensato fosse un mezzosangue. In realtà sia suo padre che sua madre erano dei Sioux e, ammesso che avesse del sangue bianco, è più facile che fosse al massimo castano.
Col tempo Manfredi lasciò gradualmente sempre più da parte gli iniziali elementi horror per concentrarsi di più sugli eventi storici, riguardanti in particolare i conflitti tra indiani e bianchi, con Magico Vento che combatte contro i soldati al fianco di Cavallo Pazzo nei numeri 39 e 45, in cui appare anche Toro Seduto. 

Toro Seduto da Magico Vento n°39 (SBE,2000)


Magico Vento - La Guerra delle Black Hills (SBE,2016)

 
Il culmine epico della saga fu raggiunto col ciclo contenuto nei numeri dal 97 al 101 (e ora raccolto dalla Bonelli in volume col titolo La Guerra delle Black Hills). In quei cinque episodi Magico Vento combatte nel corso di tutto il 1876 insieme a Toro Seduto e Cavallo Pazzo, nella guerra in cui i Sioux e i loro alleati Cheyenne ottennero importanti vittorie sul fiume Powder, sul Rosebud e soprattutto sul Little Big Horn, con la sconfitta e la morte di Custer. Quest’ultima battaglia in particolare, alimentando la sete di vendetta dei bianchi che trovò sfogo in sistematici massacri dei villaggi indiani, segnò però anche l’inizio di un declino sempre più inarrestabile per la cultura e la nazione sioux, come si comincia a vedere già nel corso del n°100. 

Cavallo Pazzo in una foto d'epoca (figurina de il Monello,1973)
 

Il n°101 di Magico Vento si conclude con la morte di Cavallo Pazzo, che qui sembra essere ucciso alle spalle da un sioux della polizia indiana, forse per non smentire la leggenda che potesse essere colpito solo da quelli del suo popolo. In realtà sembra che a colpirlo a un fianco con la baionetta fu un soldato d’origine irlandese, mentre era tenuto fermo dal suo ex-amico sioux Piccolo Grande Uomo. Comunque è un ennesimo fatto storico che gli autori non possono che registrare e cercare di raccontare in modo coinvolgente, ma che dovette determinare uno shock nei lettori dato che da quel momento le vendite subirono un netto calo. 

Magico Vento 98 (SBE,2005)
 
Ciò portò alla decisione di mettere in atto un piano di chiusura della serie, che diventata bimestrale si concluse nel 2010 col n°130, a cui seguì uno speciale in cui si recuperarono storie in precedenza scartate. Nell’ultimo numero, dopo aver assistito alla definitiva sconfitta del popolo Sioux e aver vissuto altre avventure, Ned Ellis rinuncia infine alle sue doti sciamaniche per vivere una vita più tranquilla e pacifica.

Magico Vento 1 - versione a colori in inglese (Epicenter Comics,2013)


Magico Vento n°8 in versione croata (Panini)


A distanza di appena tre anni dalla chiusura, nel 2013 si tentò in qualche modo un rilancio con la ristampa a colori Magico Vento Deluxe, pubblicata dalla Panini in contemporanea all’edizione americana edita dalla Epicenter Comics col titolo tradotto in Magic Wind (Magico Vento è stato inoltre pubblicato anche in paesi come Francia, Croazia, Brasile e India). Ma evidentemente in Italia era presto per un’operazione simile, considerato anche che i contrasti in bianco e nero erano adeguati al tono cupo della serie e quindi l’aggiunta del colore, almeno in questo caso, non era particolarmente indicata. È quindi comprensibile che la serie a colori di Magico Vento da noi non abbia venduto granché e si sia conclusa dopo appena due anni col n°25.


Magic Wind n°6 (EpicenterComics,2013)


Magic Wind - anteprima di Magico Vento versione USA



1995-2015: Nativi Americani di ieri e di oggi

L’idea di trattare il tema dei moderni indiani delle riserve, ambientando nel XX secolo delle storie a fumetti sulle loro condizioni, prima ancora che dallo svizzero Derib era già stata partorita negli anni 1970 dal genio ancora grezzo del nostro Andrea Pazienza, addirittura in un paio dei suoi primi racconti giovanili, purtroppo però mai finiti né pubblicati all’epoca e rimasti senza titolo. Il primo, di cui Pazienza realizzò nel 1976 solo le nove grandi tavole iniziali, è stato pubblicato per la prima volta nel 1995 in un portfolio di Art Core Edizioni. 

Lo cheyenne Leonardo Da Vinci da un portfolio di Andrea Pazienza (Art Core,1995)

 
È una storia ambientata durante la II Guerra Mondiale di cui è protagonista tra gli altri un indiano cheyenne dal curioso nome di Leonardo Da Vinci. Questi, vista l’inutilità delle dimostrazioni pacifiche facilmente sedate dalla violenza poliziesca, per rivendicare l’indipendenza del suo popolo e attirare l’attenzione mondiale si reca in Africa alla ricerca di un’arma segreta, in competizione con agenti di vari paesi tra cui un italiano fascista.

Santi Numi da Tutto Pazienza vol.12 (Gruppo L'Espresso,2016)


Il secondo racconto parla delle proteste di uno studente indiano di nome Santi Numi, in cui si riconosce la condizione del giovane Andrea Pazienza di allora, venuto dal Sud a studiare a Bologna, ma di quella storia disegnò solo due pagine, nel 1977, in quello stile lisergico che caratterizzava il contemporaneo Pentothal.
Questo piccolo frammento è stato pubblicato per la prima volta soltanto nell’agosto del 2016, sul volume 12 della collana Tutto Pazienza, attualmente in corso di pubblicazione allegata a La Repubblica e L’Espresso.


Plume aux Vents 2 (Dargaud,1996)

Da fine anni 1990 in poi le nuove storie a fumetti dalla parte dei Nativi Americani hanno per lo più carattere episodico, di singoli volumi o miniserie. Come succede al cinema, gli autori che tornano a trattare il tema, cercano di affrontarlo da punti di vista inediti, per non ripetere i logori e ingenui archetipi del passato né cadere in un loro troppo semplicistico rovesciamento, coinvolgendo quindi anche generi diversi dal western.
Tra il 1995 e il 2002 la saga storica di cappa e spada seicentesca de Le Sette Vite dello Sparviero, dei francesi Patrick Cothias e André Juillard, fu dirottata dai due autori in un sequel conclusivo costituito da quattro album ambientati nelle Americhe e intitolato Plume aux Vents (Piuma al Vento). Il titolo si riferisce al nome dato dai Nativi Americani alla protagonista, la giovane baronessa Ariane de Troïl, che giunge tra i Irochesi in uno stato confusionale a seguito di una serie di tragici eventi. È alla ricerca dell’uomo che ha da poco scoperto essere il suo vero padre e che presso quel popolo è ora considerato l’incarnazione dello spirito del Falco Tonante, il loro dio delle tempeste, perché è dotato come lui di un solo occhio e di un solo braccio. 

Plume aux Vents 3 (Dargaud,2001)

 
Dopo aver umiliato un capo guerriero degli Onondaga che la voleva come propria moglie e aver ucciso un emissario di quello stesso popolo che voleva riportarla indietro dopo la sua fuga, Ariane è praticamente adottata da una famiglia di indiani Mohawk che per proteggerla è costretta a lasciare la propria gente e a rifugiarsi presso i nemici Mohicani. Gli indiani le danno il nome di Piuma al Vento quando la sua mente vaga come assente e di Leonessa di Montagna quando cade improvvisamente in preda a una furia incontrollata.


Plume aux Vents 3 (Dargaud,2001)


In pratica tutti i personaggi positivi di Piuma al Vento si schierano dalla parte della cultura indiana.
Ariane per un periodo vive felice tra gli indiani e grazie a loro riesce a liberarsi dai demoni interiori che la perseguitano, mentre suo padre Gabriel, pur essendo un francese, per un po’ cerca di convincere i nativi a combattere per difendersi dall’invasione dei bianchi, ricacciandoli in mare finché sono ancora in tempo.
Anche lo spadaccino Germain Grandpin, destinato infine a diventare il compagno di Ariane, prende le difese degli indiani contro chi vorrebbe convertirli con la forza e distruggerne la cultura e anche per questo rischia seriamente di essere impiccato insieme al suo maestro Gabriel de Troïl. Ma è semplicemente impossibile riassumere la bellezza di questa storia truce e coinvolgente, dove sono mostrate anche le torture e altre usanze violente degli indiani, senza che ciò riesca a offuscare il fascino del loro modo di vivere. Piuma al Vento è un vero fumetto postmoderno in cui tutti i luoghi comuni del feuilleton sono ancora presenti ma vengono al tempo stesso superati, grazie da una messa in scena progressista, sensibile e priva di censure.

Alcuni dei personaggi di Piuma al Vento - da Plume aux Vents 4 (Dargaud,2002)


Il principale personaggio indiano della storia, che resta fino alla fine al fianco di Ariane, Germain e Gabriel è un mohawk omosessuale di nome Bello, che ama e difende Ariane, dimostrando infine uno spirito così acuto da acquisire col tempo un’enorme cultura e compiere le stesse osservazioni astronomiche di Galileo.
Piuma al Vento è stata pubblicata in Italia per la prima volta in quattro album delle Edizioni Lizard e poi raccolta in un unico volume cartonato sul n°13 della collana Historica, pubblicato dalla Mondadori nel 2013.

Wyoming Doll (Dargaud,1999)


È molto originale e umanamente toccante anche il singolo album intitolato Wyoming Doll (Bambolina del Wyoming), scritto e disegnato da Franz Drappier e pubblicato in Francia dalla Dargaud nel 1999. Qui un guerriero sioux e un ragazzo bianco finiscono per diventare amici, poiché tutti e due hanno deciso di salvare e proteggere una bambina irlandese rapita dagli indiani Corvi che ne avevano sterminato la famiglia. La piccola, appena condotta in salvo, praticamente adotta entrambi come suoi tutori e, anche dopo che l’hanno condotta al sicuro presso una famiglia irlandese, i due continuano a vegliare da lontano su di lei.
Wyoming Doll è stato pubblicato in Italia dall’Editoriale Cosmo nel 2014, sul n°12 della collana Cosmo Color. 

Black Hills 1890 vol 2 (Glénat,2000)
 

Sempre nel 1999 iniziò la serie in quattro album Black Hills 1890, scritta da Yves Swolfs, disegnata da Marc-Renier e pubblicata anch’essa in Francia dalla Glénat. Ne abbiamo già parlato in un paio di Angoli del Bonellide, ma è d’obbligo citarla anche qui, essendo una delle serie recenti più schierate in difesa dei Nativi Americani, attraverso la realistica rievocazione dell’anno che segnò la fine delle loro speranze di riscatto.
Nei primi due numeri di Black Hills assistiamo alla ribellione armata di alcuni giovani guerrieri sioux eccitati da certi aspetti della nuova religione, peraltro di per sé del tutto pacifica, incentrata sulla Danza degli Spiriti diffusa dal profeta Wovoka. Pur non approvando la condotta di quei ragazzi, ad aiutarli a sfuggire all’esercito saranno i due bianchi protagonisti, la guida Lewis Kayne, marito vedovo di una donna sioux perseguitato dallo spettro della moglie morta, e il fotografo francese Armand Lebon, membro di un’associazione di Amici degli Indiani. Quest’ultimo si trova di fronte a una realtà ben diversa da quella che si aspettava, una realtà fatta di miseria e di continui ladrocini ai danni di popoli una volta fieri e ormai ridotti a elemosinare o morire.

Black Hills 1890 vol 3 (Glénat,2003)


L’acme della serie si raggiunge nel n°3, in cui, dopo il racconto dell’uccisione di Toro Seduto, è ricostruita in modo altrettanto realistico l’ultima strage in cui i soldati sterminarono quasi trecento Sioux Miniconjou, tra uomini, donne e bambini, compreso il capo Alce Maculata detto Piede Grosso, nella valle del torrente chiamato in sioux Cankpe Opi Wakpala (Dove il Ragazzo si Ferì al Ginocchio), o in inglese Wounded Knee.
Nel quarto e ultimo numero, vediamo ancora qualche arbitrario omicidio di nativi da parte di un assassino bianco che Armand cerca per vendicare l’amico Lewis e la sua famiglia indiana. La nota di speranza su cui la serie si chiude è l’amore tra il fotografo francese e la giovane sioux Piccola Colomba, da lui salvata dalla strage di Wounded Knee, un idillio che però potrà essere vissuto liberamente e senza problemi solo quando i due innamorati si saranno lasciati definitivamente alle spalle le terre del West per trasferirsi in Europa…
Black Hills 1890 è stata pubblicata in Italia direttamente in due albi formato bonellide dall’Editoriale Cosmo.

Alce Bianco da Bouncer 5 (Les Humanoides Associés, 2006)


Abbiamo già parlato in un apposito Angolo del Bonellide anche della serie Bouncer (letteralmente Fanfarone ma anche Buttafuori), nata nel 2001 dalla fantasia di Alejandro Jodorowski e dall’espressivo estro grafico di François Boucq ed edita in Francia da Les Humanoïds Associés. Qui va citato il fatto che il protagonista è un mezzosangue, figlio della prostituta Lola e dell’indiano White Elk (Alce Bianco), e che alla morte del padre, essendo l’ultimo della tribù dei Nacache, eredita il ruolo di custode delle terre sacre su cui sorge Barro City, una violenta cittadina del West che fu fondata proprio sterminando gli indiani che abitavano in quella zona.

La strage dei Nacache da Bouncer 5 (Les Humanoides Associés, 2006)


Alce Bianco da giovane - frontespizio di Bouncer 4 (Les Humanoides Associés, 2005)


Nel sesto episodio si verifica un ennesimo massacro compiuto ai danni degli Apache di una vicina riserva, compiuto da un gruppo di soldati simili a volgari tagliagole. Sola superstite è la figlia del capo, che Bouncer salva e accoglie nel suo saloon, impegnandosi poi a vendicare con lei gli assassini dei loro fratelli indiani.
In Italia Bouncer è stato pubblicato dal 2002 da Grifo Edizioni, per poi essere ristampato e proseguito dalla Magic Press. Gli albi dal terzo al quinto, che svelano il passato del padre indiano di Bouncer, sono stati anche raccolti in volume da Mondadori nel 2009, sul n°33 della collana I Maestri del Fumetto allegata a Panorama. Dal 2013 la Cosmo ne ha pubblicato la riedizione integrale in quattro albi formato bonellide in bianco e nero.

La strage degli Apache da Bouncer 6 (Les Humanoides Associés, 2008)


È iniziata nel 2001 ed è stata poi pubblicata in italiano in formato bonellide dalla Cosmo anche un’altra serie edita in Francia da Les Humanoïds Associés, Mille Visages (Mille Volti), scritta da Philippe Thirault, disegnata da Marc Malès e conclusasi nel 2010 dopo cinque album, di cui l’ultimo disegnato con una grafica particolarmente realistica e dinamica dal nostro Mario Janni, già collaboratore di Nathan Never e Nick Raider.
La storia si svolge tra il 1832 e il 1861 ed è ambientata in parte presso una tribù sioux, il cui capo Cavallo Rosso, dopo essere stato gravemente ferito da un puma, viene salvato dal chirurgo inglese Frank Quinn, che si trovava misteriosamente sperduto e solo in quelle terre selvagge. Quinn è quindi accolto tra gli indiani, che per il suo impeto nella caccia lo chiamano Asunka (Focoso), e sposa poi Aloona, la figlia del capo. 


Mille Visages 1 (Les Humanoides Associés, 2001)

 
Intanto dei flashback chiariscono un po’ per volta il passato di Quinn, che è fuggito dall’Inghilterra perché perseguitato da un essere che può possedere con la mente qualunque altra creatura vivente a cui imponga il suo marchio, un essere le cui incarnazioni seguono Quinn in America e che gli indiani chiamano Mille Volti.
Ma Mille Volti, di cui pure scopriamo in flashback le origini, non è l’unico personaggio di questa strana serie a essere dotato di particolari poteri. Se si era interessato al dottor Quinn era per le proprietà guaritrici del suo sangue e la sua minacciosa presenza è percepita in sogno anche dallo sciamano sioux Chenmack. Appare poi anche un ragazzo bianco dotato di poteri mentali, un ragazzo di nome William Forrester che Quinn adotta dopo averlo salvato dal massacro di una carovana compiuto dai suoi amici Sioux. Quando William grazie a una visione riesce a salvare e a riportare indietro la figlia dello sciamano che era stata rapita da Mille Volti, anche i Sioux lo accettano definitivamente tra loro, dandogli il nome di Wanyanke (Colui che Vede).

Mille Visages 2 (Les Humanoides Associés, 2002

Sarà appunto il giovane Wanyanke a portare avanti la lotta contro Mille Volti, alla cui maligna e invincibile influenza gli autori alla fine sembrano voler imputare praticamente quasi tutte le violenze, le stragi, le ignominie e i tradimenti compiuti dai bianchi contro gli Indiani d’America e non solo.
Benché la storia sia narrata in modo complesso e sapiente, l’idea di tale enorme responsabilità concentrata in un solo essere appare troppo semplicistica, quasi una versione moderna del comodo alibi a cui ricorrono i superstiziosi quando attribuiscono le loro colpe a qualche demone che avrebbe controllato la loro volontà.


Mille Visages 5 (Les Humanoides Associés, 2010)


È sempre nel 2001 che una giovane agente dell’FBI d’origine nativa americana di nome Jessie Wingo appare con un ruolo di primo piano nella storia L’Etrange Rendez-Vous (Lo Strano Appuntamento), 15° volume della prestigiosa serie belga Le Avventure di Blake e Mortimer, rispettivamente scritto e disegnato da Jean Van Hamme e Ted Benoit, continuatori dei due personaggi creati da Edgar Jacobs. In quell’albo alla fine sarà proprio la bellicosa Jessie ad affrontare coraggiosamente e arrestare il loro arcinemico, il colonnello Olrik.
Per la verità, considerato che la storia in questione è ambientata negli U.S.A. del 1954, quindi prima di tante lotte per i diritti civili, la presenza di una donna e per di più mezzo indiana con un grado piuttosto elevato all’interno del Federal Bureau of Investigation statunitense potrebbe apparire leggermente anacronistica.

Mortimer incontra Jessie Wingo - da Les Aventures de Blake et Mortimer 15 (Dargaud-Lombard,2001)
 
Potremmo dire che gli autori abbiano voluto immaginare degli Stati Uniti un po’ più illuminati e progressisti di quanto non fossero in realtà negli anni 1950. In ogni caso il personaggio di Jessie Wingo riappare anche nel 19° e nel 20° volume di Blake e Mortimer, sempre scritti da Van Hamme e pubblicati tra il 2009 e il 2010, con la bella indiana che nel secondo minaccia più volte di uccidere o di torturare il perfido Olrik.
Tutti e tre gli episodi in Italia sono stati pubblicati da Alessandro Editore e ristampati nel 2016 sulla Collana Avventura allegata alla Gazzetta dello Sport, che nei primi ventitre numeri ha ripubblicato l’intera serie.

Ethan Ringler (Dupuis)


Chissà che in qualche modo l’agente Jessie Wingo non abbia in parte ispirato la serie belga Ethan Ringler Agent Fédéral, pubblicata dall’editrice concorrente Dupuis tra il 2004 e il 2009, in cinque album scritti da Denis-Pierre Filippi e disegnati da Gilles Mezzomo. Anche il protagonista di questa serie è infatti un meticcio, figlio illegittimo di un padre inglese produttore di armi e di una domestica nativa americana che nel 1879, a diciassette anni, lascia la natia Inghilterra per sbarcare a New York alla ricerca delle sue radici indiane.
Ethan nell’abbigliamento ricorda vagamente Bouncer, mentre lo stile dei disegni riecheggia quello dell’ultimo Moebius, ma la sua principale particolarità sta nel fatto d’essere un indiano del tutto civilizzato che fino a quel momento ha conosciuto solo la vita in Inghilterra e nulla della terra e della cultura di sua madre, tanto che non sa neanche il nome della nazione e tribù a cui apparteneva, il ché complica molto le sue ricerche.

Ethan Ringler Intégrale (Dupuis,2010)

È molto ben scritta la narrazione in soggettiva con cui l’Ethan Ringler futuro, che ha assunto il nome indiano Tecumska (Due Uomini), racconta le sue avventure giovanili, di come diventa agente della Polizia Federale ma anche guardia del corpo di un boss mafioso, un pericoloso doppio gioco che il ragazzo accetta soprattutto nella speranza di scoprire informazioni e indizi che gli facciano ritrovare la tribù di sua madre.
Qualche traccia in proposito arriva innanzitutto dall’aver stretto amicizia con l’indiano Passo di Piuma, così chiamato perché uccide senza far rumore. La tribù di Ethan alla fine costituisce l’elemento più fantasioso della serie perché i suoi membri, chiamati Uomini Nebbia, sarebbero diventati capaci di apparire e sparire a piacimento per non essere né sottomessi ai bianchi né costretti a combattere contro di loro. I nativi che invece vivono nelle baracche e tende del cosiddetto quartiere indiano, anche in una città dell’Est come New York sono ancora esposti agli attacchi violenti e sanguinari dei bianchi, come si vede nel quinto episodio.

Ethan Ringler n°3 - Collana_Western n°64 allegato_a_La Gazzetta dello Sport (2015)


Ethan Ringler in Italia è stato pubblicato per la prima volta a puntate sulla rivista Skorpio e poi raccolto integralmente nel 2015 in tre album della Collana Western allegata a La Gazzetta dello Sport.

Ha mostrato le tristi condizioni in cui versano molte riserve indiane nel mondo basato sul profitto dell’uomo bianco, anche lo sceneggiatore scozzese Grant Morrison, specializzato in ripescaggi e rielaborazioni di vecchi personaggi. Questi nel 2007, mentre scriveva la serie regolare di Batman, tra le varie imitazioni apparse nelle storie più ingenue e disinvolte degli anni ’50 rispolverò anche una versione nativa americana dell’uomo pipistrello con tanto di giovane aiutante, apparsa in precedenza in un singolo albo di Batman del 1954. 

Man of the Bats alla sua 1°apparizione su Batman n°86 (DC,1954)

 
I due personaggi, inseriti da Morrison nel Club degli Eroi composto dai Batman di Ogni Nazione risalente allo stesso periodo, sono il medico William Grande Aquila e suo figlio, due sioux che con costumi simili a quelli di Batman e Robin diventano Man of the Bats (Uomo dei Pipistrelli) e Little Raven (Piccolo Corvo), tentando a loro volta di opporsi a ingiustizie, violenze e sofferenze umane nella riserva indiana del Sud-Dakota. Nella nuova storia del 2007, uscita su Batman dal n°667 al n°669, il disegnatore J. H. Williams III li riveste con nuovi costumi meno simili a quelli dei due famosi eroi e ispirati allo stile decorativo dei popoli amerindi.

Man of the Bats nuova versione da Batman Inc. n°7 (DC,2011)
 
Sul n°7 della serie Batman Inc., sempre scritto da Morrison e disegnato da Chris Burnham nel 2012, si evidenzia come l’attività di giustizieri di Uomo dei Pipistrelli e di suo figlio (che ora vuole essere chiamato Corvo Rosso) debba svolgersi in un ambiente da terzo mondo, senza poter minimamente contare su mezzi simili a quelli del miliardario Bruce Wayne ma affrontando ogni evenienza arrangiandosi alla meno peggio. L’episodio sarebbe potuto sembrare una parodia, se non fosse stato carico di toni da denuncia sociale.
Batman n°667, 668 e 669 sono usciti in Italia nel 2008, su Batman n°12 della Planeta De Agostini, mentre Batman Inc. n°7 è uscito nel 2012 su Batman n°56, l’ultimo della stessa serie, pubblicato dalla RW Lion, per poi essere ristampato l’anno seguente sul volume Batman Incorporated 2, sempre della RW Lion.

Loup de Pluie 1 (Dargaud,2012)


Nel corso del 2012 sono apparsi anche altri tre più o meno effimeri personaggi indiani a fumetti, prodotti in tre diversi paesi e molto diversi anche nelle loro caratteristiche, sia dal punto di vista narrativo che grafico.
In Francia lo sceneggiatore Jean Dufaux e il disegnatore spagnolo Ruben Pellejero hanno pubblicato presso Dargaud il primo dei due album della loro breve serie Loup de Pluie (Lupo della Pioggia), caratterizzata tra l’altro da una bellissima colorazione espressionista e di cui la seconda parte è uscita l’anno seguente.
La vicenda ha inizio con l’uccisione di un bianco, per legittima difesa, da parte dell’indiano Lupo della Pioggia, figlio del capo Nuvola Rossa. Da qui prende il via a una vera e propria faida, nonostante i rapporti amichevoli che la potente e illuminata famiglia McDell era riuscita a intrecciare con la tribù di Nuvola Rossa.
Gli amici dell’ucciso, capitanati dal vecchio e spietato Cody, minacciano e uccidono chi rifiuta di consegnare o dire dove si trovi Lupo della Pioggia, che intanto è stato liberato e nascosto dal suo amico Bruce McDell.

Loup de Pluie Intégrale (Dargaud,2014)


Il giovane indiano viene poi inviato lontano da suo padre, che spera che ciò lo metta al sicuro e contribuisca a calmare gli animi. Invece, mentre Lupo della Pioggia intraprende la caccia al Bisonte Bianco, perché in base una leggenda se uccide quell’animale potrà sposare la ragazza che ama, Cody attacca i McDell, uccide Nuvola Rossa e rapisce Blanche, la sorella di Bruce, pretendendo che gli sia consegnato Lupo della Pioggia.
In mezzo ad amori più o meno tragici, che vedono i fratelli McDell trovare le loro compagne ideali fuori da ogni convenzione, come il giovane Jack che ama l’indiana Piccola Luna, inevitabilmente gli eventi precipitano verso lo scontro finale tra gli indiani che vogliono vendicare il loro capo e la banda del vecchio Cody. Altri bianchi invece restano in disparte a guardare, sperando segretamente che i Cody facciano il lavoro sporco per loro sterminando gli indiani. I due episodi di Lupo della Pioggia in Italia sono stati raccolti nel 2016 in un singolo albo, corrispondente al n°87 della Collana Western allegata a La Gazzetta dello Sport.

Tomahawk da All-Star Western n°13 (DC, 2012)

Sempre tra il 2012 e il 2013, sui numeri da 13 a 16 della nuova serie della collana All-Star Western pubblicata dalla DC Comics, è uscita in quattro puntate una storia su un indiano di nome Tomahawk, scritta da Justin Gray e Jimmy Palmiotti e molto ben disegnata e colorata ad acquerello da Phil Winslade.
La storia si svolge alla fine del XVIII secolo in Ohio, all’epoca in cui il capo shawnee Tecumseh e suo fratello Tenskwatawa il Profeta riunirono in una federazione molte tribù dell’Est per opporsi all’avanzata dei coloni americani. Tomahawk è un guerriero mezzo irochese e mezzo shawnee alleato di Tecumseh e del Profeta, che come loro lotta selvaggiamente ma anche eroicamente in difesa della sua terra e della sua gente. È ironico che il suo nome sia derivato da quello di un vecchio personaggio della DC che, in origine, era invece un bianco a capo di un gruppo di irregolari americani che combattevano contro gli Indiani e gli Inglesi. È un ennesimo segno del rovesciamento di ottica verificatosi nei fumetti di oggi rispetto a quelli di un tempo. 

Tomahawk da All-Star Western n°13 (DC,2012)

 
Tra l’altro questo nuovo Tomahawk indiano si comporta in modo veramente spietato con i soldati americani che cadono nelle sue mani. Del resto in questa breve serie le milizie statunitensi inviate da Washington sono ancora più spietate quando attaccano i villaggi indiani massacrando donne e bambini e ciò può spiegare l’odio di Tomahawk e degli altri indiani verso i bianchi, tanto più che nella prima puntata questi uccidono anche sua moglie e suo figlio. È interessante, ma in fondo anche inquietante, che degli autori americani si siano qui immedesimati totalmente col punto di vista dei nativi, che in effetti furono continuamente aggrediti e scacciati dai coloni, fino a comprenderne e accettarne anche le vendette più violente, feroci e sanguinarie.


Saguaro n°2 (SBE,2012)


Intanto in Italia, nel Giugno 2012 la Bonelli pubblicava il n°1 della serie Saguaro, creata dallo sceneggiatore Bruno Enna e ambientata nel XX secolo. Il protagonista è il navajo Thorn Kitcheyan, detto appunto Saguaro, un reduce della guerra del Vietnam che non monta un cavallo come i suoi antenati ma una moderna moto e che nel 1972 ritorna a casa, nella Grande Riserva Navajo che, come sa ogni lettore di Tex, si trova tra l’Arizona e il Nuovo Messico. Proprio nei pressi del confine tra questi due stati sorge la città a cui Saguaro ritorna nel n°1, Window Rock, che è realmente la capitale della Nazione Navajo e non è molto distante dalla località di Fort Defiance che i lettori di Tex ben conoscono. Il fatto di trovarsi su quel confine, fa sì che Saguaro resti coinvolto in una questione di contrabbando di droga, diventando poi un agente federale.
La serie di Saguaro è infatti ispirata ai veri agenti federali nativi americani detti Shadow Wolves (Lupi-Ombra), che operano ancora tra l’Arizona e il Messico. Il protagonista del fumetto fa parte di un’unità simile ma denominata Falchi-Lupo. In quanto agente, deve affrontare spesso criminali bianchi ma anche i suoi stessi fratelli navajo, quando ricorrono alla violenza per far valere i propri diritti. Durante una di tali rivolte, guidata proprio da un suo fratello di sangue, Saguaro finirà però per aiutare quest’ultimo lasciando i federali.

Saguaro n°35 (SBE,2015)


Saguaro insomma, nel corso della serie, da inseguitore si ritrova a volte nelle vesti di fuggitivo, come quando viene incastrato con l’accusa di un duplice omicidio. In un tale clima di complotti, i suoi rapporti coi superiori o gli amici navajo si faranno alla fine più difficili e ambigui, non sapendo più di chi potersi fidare veramente.
Nonostante cercasse di coniugare in qualche modo un personaggio grintoso alla Tex con un’ambientazione moderna che strizzava l’occhio allo stile di certi telefilm d’azione, la serie di Saguaro, pensata inizialmente come singolo romanzo a fumetti e poi lanciata invece come collana senza una fine prevista, ha riscosso però molto meno successo di quanto editore e autori avevano sperato, concludendosi infine nel 2015 col n°35.

Cuore di Lupo e il lupo suo amico - da Le Storie n°14 (SBE,2013)


È ambientato in buona parte in una riserva indiana moderna anche l’albo singolo Cuore di Lupo, scritto e disegnato da Carlo Ambrosini e pubblicato dalla Bonelli nel 2013, come n°14 della collana Le Storie.
Il protagonista, il giornalista Jeff Cardiff, ha una nonna sioux, appartenente alla tribù Miniconjou della Nazione Lakota, a cui era molto legato e che muore all’inizio della storia, il ché lo porta a tornare per un po’ nella riserva del Montana in cui era cresciuto. Il nome indiano di Jeff è appunto Cuore di Lupo, avendo fatto amicizia a otto anni con un lupo, il cui spirito continua ad accompagnarlo anche da adulto, invisibile a tutti tranne che a lui e allo sciamano Malakawe. Se nel racconto principale Jeff aiuta un paio di ragazzi indiani rimasti coinvolti in dei loschi affari, tutto l’insieme fa pensare a un episodio pilota di una possibile serie.

Cuore di Lupo-Jeff Cardiff e sua nonna Luna che Ride - da Le Storie n°14 (SBE,2013)


L’autore mostra infatti in flashback degli eventi chiave del passato del protagonista e presenta una serie di personaggi di contorno ben caratterizzati. Anche il fatto che alla fine Jeff resti almeno provvisoriamente nella riserva, farebbe pensare alla possibilità di una prosecuzione lasciata intenzionalmente aperta. Peccato che di Cuore di Lupo non sia stata realizzata almeno una miniserie, poiché il racconto è confezionato con sensibilità poetica senza rinunciare all’azione e il personaggio, dato il carattere progressista che coniuga riflessività e forza d’animo, poteva prefigurare anche nell’aspetto una sorta di Ken Parker contemporaneo.

Mohawk River - da Speciale Le Storie n°2 pag16 (SBE,2015)


Nella stessa collana Le Storie, ma nel n°2 della serie speciale a colori uscito nel 2015, lo sceneggiatore Mauro Boselli e il disegnatore Angelo Stano hanno invece realizzato con Mohawk River un racconto a fumetti in cui si respirano le stesse atmosfere de L’Ultimo dei Mohicani o della saga di Wheeling di Hugo Pratt, per cui gli indiani inizialmente appaiono come amici o nemici a seconda dell’esercito inglese o francese con cui sono schierati, durante la guerra feroce e sanguinosa che divise le due nazioni alla metà del XVIII secolo.
In principio il protagonista sembra essere il cacciatore di indiani inglese Riley Black, chiamato dai nativi Corvo Nero, che combatte insieme a due mohawk contro i Francesi e i loro alleati indiani. In seguito gli eroi principali diventano il tenente francese Alain Rivière, che diserta per non essere complice di stragi e omicidi, e il giovane colono inglese Daniel Chapman, i cui genitori sono stati massacrati dagli indiani Abenaki, che hanno invece adottato sua sorella Abbie e suo fratello minore Nick, cosa che poi creerà qualche problema…

Mohawk River - da Speciale Le Storie n°2 pag16 (SBE,2015)

Mentre Stano riproduce la luce delle diverse ore o stagioni in cui si svolge l’azione con un’accorta scelta di toni cromatici, Boselli sviluppa la trama come l’intreccio di un romanzo, con personaggi positivi o negativi che si possono trovare schierati in entrambi i campi. Anche tra gli indiani nemici degli Inglesi si trovano infatti figure dignitose e benevole come il capo abenaki Tabid “Grand Ours” o il guerriero delaware Hopocan, mentre tra gli Inglesi non fanno bella figura i rangers del maggiore Rogers, che a loro volta massacrano donne e bambini di un villaggio abenaki, operazioni che anche per loro rientravano ampiamente nella norma.
Concludiamo così con una storia i cui autori non si schierano né per gli indiani né contro, ma mostrano le violenze compiute da tutti, con personaggi che possono essere amici o nemici indipendentemente dal colore della pelle e con dei protagonisti che alla fine prendono le distanze da ogni guerra e conflitto, una scelta senz’altro felice e auspicabile ma che, almeno per ora, mette fine alla loro e alla nostra avventura…


Edizioni recenti in formato bonellide di alcune delle serie e storie citate nell’articolo:

Saguaro n°1 (SBE,2012)


SAGUARO
Serie di 35 numeri
Testi: Bruno Enna
Disegni: Autori Vari
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Bonelli
Periodicità: Mensile
Date di uscita: da Giugno 2012 a Aprile 2015
Prezzo: da € 2,90 a € 3,20



Black Hills 1 - West n°1 - Serie Gialla n°5 (Cosmo,2013)


BLACK HILLS
Miniserie di 2 numeri
Testi: Yves Swolfs
Disegni: Marc-Renier
Testata: WEST – STORIE DI FRONTIERA n°1/2
Collana: Cosmo Serie Gialla n°5/6
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Cosmo
Periodicità: mensile
Date di uscita: Febbraio/Marzo 2013
Prezzo: € 2,90


I Pionieri del Nuovo Mondo stagione 3 n°2 - West n°16 - serie Gialla n°25 (Cosmo,2014)


I PIONIERI DEL NUOVO MONDO
Serie di cui finora sono usciti dieci numeri divisi in 4 stagioni
Testi: Jean-François Charles e Maryse Charles
Disegni: Jean-François Charles e Erwin Sels (Ersel)
Testata: WEST – FUMETTI DI FRONTIERA n°5/7, n°9/11, n°15/17, n°27
Collana: Cosmo Serie Gialla n°11/13, n°18/20, n°24/26, n°39
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Cosmo
Date di uscita: da Agosto 2013 a Dicembre 2015
Prezzi: da € 2,90 a € 3,20 l’uno


Magico Vento Deluxe n°1 (Panini,2013)



MAGICO VENTO DELUXE
Serie interrotta di 25 numeri
Testi: Gianfranco Manfredi
Disegni: Autori Vari
Formato: 96 pag. a colori
Editore: Panini
Periodicità: mensile
Date di uscita: da Marzo 2013 a Maggio 2015
Prezzo: € 3,50


Bouncer n°2 - Serie Gialla 15 (Cosmo,2013)



BOUNCER
Serie di 4 albi
Contenuti: Bouncer vol. 1-9
Testi Alejandro Jodorowsky
Disegni: François Boucq
Collana: Cosmo Serie Gialla n°14/16, n°27
Formato: 128 pag. - 192 pag. il n°2 – in bianco e nero
Editore: Cosmo
Date di uscita: da Novembre 2013 a Dicembre 2014
Prezzi: il n°1 e 3 € 3,20 – il n°2 € 4,90 – il n°4 € 3,90


Mille Volti 1 - West n°19 - Serie Gialla n°29 (Cosmo,2015)

Mille Volti 2 - West n°20 - Serie Gialla n°30 (Cosmo,2015)



MILLE VOLTI
Miniserie di 2 numeri
Testi: Philippe Thirault
Disegni: Marc Malès, Mario Janni
Testata: WEST – STORIE DI FRONTIERA n°19/20
Collana: Cosmo Serie Gialla n°29/30
Formato: il n°19, 96 pag. – il n°20, 160 pag. – in bianco e nero
Editore: Cosmo
Periodicità: mensile
Date di uscita: Febbraio/Marzo 2015
Prezzo: il n°19 € 3,20 – il n°20 € 5,00



Cuore di Lupo - Le Storie n°14 (SBE,2013)


CUORE DI LUPO
Numero singolo
Testo e disegni: Carlo Ambrosini
Collana: Le Storie n°14
Formato: 112 pag. in bianco e nero
Editore: Bonelli
Data di uscita: Novembre 2013
Prezzo: €3,50


Mohawk River - Speciale Le Storie n°2 (SBE,2015)


MOHAWK RIVER
Numero singolo
Testi: Mauro Boselli
Disegni: Angelo Stano
Collana: Speciale Le Storie n°2
Formato: 128 pag. a colori
Editore: Bonelli
Data di uscita: Luglio 2015
Prezzo: € 6:00


Andrea Cantucci
N.B. Trovate tutti i link ai "bonellidi" in Cronologie & Index!