giovedì 11 settembre 2014

L’ANGOLO DEL BONELLIDE (XII): THRILLER À LA FRANÇAISE! PRIMA PARTE – 1800/1960

di Andrea Cantucci

Mi siano concesse due parole introduttive - e in solitario - semplicemente per sottolineare che pubblico con particolare entusiasmo (e penso di parlare anche a nome di Saverio Ceri) questa prima parte del doppio intervento di Andrea "Kant" Cantucci sul fumetto giallo franco-belga, parte dedicata alla genesi storico-letteraria e al periodo "classico" dell'affascinante ramo thriller della BD. Per il sottoscritto (che ne ha parlato qui su Dime Web e anche altrove in Rete) le avventure di Blake & Mortimer, i romanzi a fumetti di Tintin, etc., sono il Grande Fumetto per antonomasia - fumetto perfetto (dal punto di vista del soggetto, della sceneggiatura, del linguaggio codificato, del disegno e della veste editoriale), sofisticato, senza tempo, definitivo, per tanti ma non per tutti. Senza nulla voler togliere alla scuola italiana in generale e bonelliana in particolare... ça va sans dire! (f.m.)

Ric Roland nel supplemento settimanale della Gazzetta dello Sport, 2014.


Dai feuilleton a puntate ai fumetti del mistero 

“… uomini uniti tutti da un pensiero comune, tutti abbastanza energici per sapersi mantener fedeli ad un comune sentimento, abbastanza onesti nei rapporti reciproci per non tradirsi neppure in caso di contrasto d’interessi, abbastanza forti per porsi al di sopra di ogni legge, abbastanza arditi per osare ogni atto e abbastanza fortunati per riuscire quasi sempre nei propri intenti…”

dalla prefazione al romanzo I Tredici di Honoré de Balzac, 1831-1835



Tra giugno e luglio 2014, sono apparsi nelle edicole italiane ben tre fumetti francofoni di genere thriller.
Il 12 giugno ha esordito come supplemento settimanale alla Gazzetta dello Sport la serie di Ric Roland, una collana di trenta albi che riproduce in grande formato e a colori le prime avventure del giornalista-detective belga il cui nome originale è Ric Hochet, qui alla prima testata personale italiana. Lo ha seguito pochi giorni dopo la miniserie mensile formato bonellide Frank Lincoln, i cui sei episodi sono stati raccolti dall’Editoriale Cosmo in tre albi in bianco e nero. A luglio si è aggiunto Milan K., un singolo bonellide in bianco e nero della Cosmo coi tre episodi finora apparsi dell’omonimo personaggio. A settembre è invece prevista l’uscita di un albo cogli ultimi tre episodi di Gil Saint André, sempre in formato bonellide e sempre pubblicato dalla Cosmo.
Tutte e quattro le serie sono tipici polar, nome con cui i francesi indicano i loro polizieschi, gialli o noir che siano. La prima, che risale agli anni ’50, ha un’impostazione generale piuttosto classica (Ric Hochet è un eroe senza macchia che collabora con le autorità e le storie vertono sulla scoperta finale di un colpevole), ma come suspense deve molto ai thriller cinematografici alla Hitchcock, mentre le altre tre serie sono riconducibili ai più moderni thriller d’azione francesi. In questi polar i personaggi agiscono in modo spesso ambiguo, sul filo del rasoio tra crimine ed eroismo, si dibattono in complicati intrecci tra delitti e complotti, che affondano le loro radici nella tradizione dei romanzi noir franco-belgi, che risale alle efferatezze e ai segreti dell’eterogenea malavita descritta nei feuilleton, i romanzi d’appendice francesi dell’Ottocento.


Vidocq ritratto da Achille Devéria



1800-1910: Precursori francesi del Giallo letterario 

I polizieschi letterari francesi hanno caratteristiche distinte sia dal tipico giallo all’inglese, in cui l’investigatore è una specie di genio che risolve i delitti che si trova di fronte come puri rompicapi intellettuali, sia dal poliziesco hard boiled americano, in cui la situazione è risolta dall’azione muscolare di un detective che, pur atteggiandosi a cinico duro senza scrupoli e usando metodi poco ortodossi, è comunque un eroe tutto d’un pezzo sempre sicuro d’essere nel giusto. I protagonisti dei polizieschi francesi sono personaggi più complessi e realistici, in genere meno presuntuosi e infallibili, che a volte si fanno giustizia da soli e non è detto stiano sempre dalla parte della legge. La plausibilità e ambiguità del giallo francese, potrebbe derivare dal fatto che il suo primo “eroe” sia stato un personaggio reale e non del tutto integerrimo, Eugène-François Vidocq.
Vissuto dal 1775 al 1857, dedito a piccoli furti fin da giovanissimo e fuggito definitivamente di casa dopo aver ucciso il maestro di scherma, Vidocq si arruolò a sedici anni nell’esercito rivoluzionario, per poi disertare e divenire un avventuriero, ladro e truffatore. Arrestato, incarcerato ed evaso più volte, conquistandosi così grande notorietà e rispetto tra i criminali, si riabilitò nel 1806 diventando prima informatore e poi poliziotto, grazie alla sua conoscenza della malavita. Dal 1811 fu addirittura a capo del primo vero e proprio servizio di polizia moderno, la Sûreté di Parigi, in cui arruolò inizialmente altri ex-delinquenti e da cui si dimise nel 1827.

Le Memorie di Vidocq


I fatti che portarono Vidocq a lasciare la carica sono controversi. Molti arrestati sostennero fosse lui stesso a organizzare le rapine che poi sventava, per cui i suoi successi come investigatore sarebbero stati imbrogli orchestrati ai danni dei complici. Altri dicono, al contrario, che il ladro redento era diventato integerrimo e incorruttibile e dava fastidio a personaggi potenti, che lo misero in cattiva luce col nuovo regime nato dalla Restaurazione. I dubbi nascono anche dal fatto che le imprese e la carriera di Vidocq furono narrate in modo romanzato da lui stesso nelle sue Memorie, uscite nel 1828, che non potevano essere del tutto obiettive.
Nel 1833, dopo il grande successo del suo libro, aprì infine la prima agenzia di detective privati del mondo, denominata Ufficio Informazioni per il Commercio perché rivolta in particolare ai commercianti.


Vidocq di Hans Kress, nell'edizione Casterman.

Nel discusso personaggio di Vidocq praticamente ci sono già, in embrione, tutti i futuri protagonisti del Giallo e del Thriller: il genio del crimine, l’artista dell’evasione, il tutore della legge, l’investigatore privato. La sua storia fu rielaborata nel 1922 nel romanzo Vidocq di Arthur Bernède e, oltre a vari film e sceneggiati, ispirò anche una serie a fumetti del disegnatore Hans Kresse, uscita nel 1965 sul settimanale olandese Pep.
Il passato criminale e la rapida ascesa sociale di Vidocq furono anche rievocati in romanzi come Papà Goriot, scritto nel 1834 da Honoré de Balzac. Pare che l’autore si fosse ispirato a lui per la figura del cinico ex-forzato Vautrin, che fa l’apologia dell’opportunismo e dell’affermazione personale contro ogni tipo di legge, morale o istituzione, influenzando il giovane Eugène de Rastignac nella sua carriera di arrampicatore sociale.


Honoré De Balzac


Balzac, col romanzo in tre parti I Tredici concluso nel 1835, fu anche tra i primi scrittori a ideare una potente organizzazione segreta, che agisce fuori dalle leggi nell’interesse degli affiliati, probabilmente ricalcata sulle confraternite di tipo massonico o carbonaro, all’epoca costrette alla clandestinità per le loro idee liberali.
Lo stesso autore arrivò inoltre abbastanza vicino a confezionare una storia poliziesca, col romanzo breve del 1841 ma ambientato nel 1803 Una Tenebrosa Vicenda, in cui il Consigliere di Stato Fouché, coadiuvato dalla spia Corentin, sventa una congiura contro Napoleone. Qui gli elementi “gialli” dell’inchiesta sono secondari rispetto al contesto storico e sociale, che si riferisce a fatti reali, ma l’andamento del racconto, tra complotti politici e intrighi spionistici, è più affine ai polar moderni che alla maggior parte dei polizieschi tradizionali.
Sempre nel 1841 le memorie di Vidocq furono poi citate direttamente, sia pure in modo critico, dallo scrittore americano Edgar Allan Poe, in quello che è considerato il primo vero e proprio racconto poliziesco di fantasia, Gli Assassinii della Rue Morgue, che non a caso è ambientato a Parigi e ha per protagonista un investigatore francese, l’orgoglioso e infallibile cavaliere Auguste Dupin. Questi, pur disprezzando i metodi di Vidocq, ha comunque in lui una delle sue principali fonti di ispirazione e in seguito ispirerà a sua volta infiniti epigoni.

I misteri di Parigi di Nerbini, con copertina di Tancredi Scarpelli


Invece nel lungo feuilleton filo-socialista I Misteri di Parigi, scritto da Eugène Sue dal 1842 e ambientato tra i vicoli più miserabili della città, il protagonista Rodolphe non è un investigatore a caccia di colpevoli, ma un filantropo che agisce fuori dalla legge per alleviare le miserie dei più deboli. C’è chi ritiene anche lui ispirato all’ambiguo personaggio Vidocq, la cui influenza continuò a farsi sentire anche ne Il Conte di Montecristo, scritto da Alexandre Dumas nel 1844, in cui Edmond Dantès, evaso dal carcere ed entrato in possesso di un’enorme ricchezza, per vendicarsi dei suoi nemici si fa giustizia da solo ponendosi al di sopra della legge.


Un'antica edizione dei Misteri di Parigi di Sue
 
Les Habits Noir n. 2


I Misteri di Parigi e Il Conte di Montecristo, insieme a Papà Goriot e a I Tredici di Balzac, contribuirono alla formazione dell’archetipo del superuomo letterario audace e privo di scrupoli, attraverso cui si giunse poi agli eroi negativi in lotta contro la società per il proprio esclusivo interesse, attraverso dei passaggi graduali ma inesorabili. Già dal 1844 molti tentarono di emulare il successo de I Misteri di Parigi, come lo stesso Vidocq che pubblicò un romanzo intitolato I Veri Misteri di Parigi. In quell’anno lo scrittore Paul Féval iniziò invece I Misteri di Londra, che a distanza di vent’anni proseguì col titolo Gli Abiti Neri, uno smisurato ciclo in cui l’autore introdusse un malvagio impero del crimine internazionale, con a capo il misterioso Colonnello Bozzo-Corona, anticipando di molti decenni le organizzazioni di Fantômas e del dottor Mabuse, la Spectre di James Bond, gli Uomini in Nero dei miti ufologici e ogni altra idea di vasta organizzazione criminale globale.
Nel frattempo, fu di nuovo Alexandre Dumas a creare, nel suo romanzo I Mohicani di Parigi iniziato nel 1854, un altrettanto misterioso capo della Sûreté, Monsieur Jackal, il cui nome in un misto di francese e inglese significa Signor Sciacallo e che chiaramente non era altro che un ennesimo personaggio ispirato a Vidocq. Gli archetipi del re del Crimine e del suo nemico poliziotto iniziavano così lentamente a prendere forma.


Rocambole in un'edizione Garzanti del 1966


Il primo ad agire in prima persona come vero e proprio “eroe” fisso seriale fu però Rocambole, un avventuriero che porta il nome di un aglio piccante e che, da personaggio secondario, col tempo divenne il protagonista di una serie di feuilleton scritti dal 1857 dal visconte Pierre Alexis de Ponson du Terrail, sotto il titolo I Drammi di Parigi, usciti nell’arco di dieci anni e raccolti in nove volumi, poi proseguiti da altri autori.
Nato come braccio destro del cattivo di turno che poi tradisce, il giovane Rocambole è considerato allo stesso tempo anche il primo eroe negativo della letteratura d’evasione, ma come Vidocq finì per redimersi e votarsi alla causa della giustizia. Il suo successo fu tale che "rocambolesco" divenne sinonimo di impresa audace e strabiliante compiuta con astuzia e destrezza. Oltre a essere stato adattato in film e telefilm, negli anni ’60 del ‘900 Rocambole fu protagonista di una serie di albi a fumetti di autori anonimi delle Éditions Aventures & Voyages, mentre un album a fumetti più raffinato, intitolato Rocambole de Ponson du Terrail è stato pubblicato da Delcourt nel 2009, con i testi di Frédéric Brémaud e i disegni di Federico Bertolucci.


Les drames de Paris, illustrazione di Louis Charles Bombled


Nel 1862, il grande romanziere Victor Hugo prese spunto a sua volta dal malvivente redento Vidocq per creare un antieroe di ben maggiore spessore e complessità, l’ex-galeotto Jean Valjean dei Miserabili. Anch’esso è un personaggio a suo modo epico ma più umano e plausibile, che commette errori e paga per i suoi sbagli, la cui vicenda personale di segreti e sotterfugi si inserisce negli eventi storici e politici del suo tempo, mentre l’ispettore Javert che tenta di arrestarlo è tra le figure più negative e antipatiche della storia. 


Monsieur Lecoq
 

Anche il primo scrittore a seguire Poe sulla strada del puro e semplice poliziesco fu un francese, Emile Gaboriau, che con L’Affare Lerouge, uscito a puntate nel 1863 sul quotidiano Pays e in volume nel 1866, scrisse il primo vero romanzo giallo. Per la prima volta l’indagine per risolvere un delitto è posta al centro di un intero libro, con cinque anni di anticipo rispetto al primo romanzo poliziesco inglese, La Pietra di Luna di Wilkie Collins. Ne L’Affare Lerouge, Gaboriau creò l’investigatore dilettante Tabaret detto Père Tireauclair (Papà Mettinchiaro), ispirato a un ex-ispettore della Sûreté, e il giovane poliziotto Monsieur Lecoq, poi protagonista di altri suoi romanzi. I personaggi di Gaboriau non sono infallibili, procedono per tentativi e si basano sull’esperienza, cosa che continuerà a distinguere a lungo i detective francesi da quelli inglesi.
Anche Lecoq è stato un delinquente e la sua “mentalità criminale” gli permette di risolvere i casi mettendosi nei panni dei colpevoli. Si ispira quindi più al reale fuorilegge passato alla polizia Vidocq, che all’immaginario investigatore deduttivo Dupin. Lecoq è inoltre un maestro del travestimento che nei bassifondi usa un’altra identità, capacità che ritroveremo poi anche in molti personaggi successivi, sia investigatori che criminali.
Durante il ‘900 su Lecoq furono realizzate, oltre ad alcuni film e sceneggiati e a vari radiodrammi, anche un paio di serie a fumetti francesi, opera rispettivamente di Marc Cardus dal 1956 e di Guy Marcireau dal 1960.
È unendo elementi di Dupin e di Lecoq, che nel 1887 il medico inglese Arthur Conan Doyle creò il più famoso (e presuntuoso) degli investigatori, Sherlock Holmes, con cui il Giallo anglosassone si avviò sulla strada dell’indagine soprattutto cerebrale. Come Dupin criticava le procedure di Vidocq, così Holmes nel suo primo racconto cita tanto Dupin che Lecoq ma solo per disprezzarne le (secondo lui) limitate capacità d’indagine. 


Arsène Lupin, vol. II, 1908
 

Per contrastare il successo dell’impassibile e arrogante re dei detective inglese, lo scrittore Maurice Leblanc pubblicò dal 1905 sul giornale Je Sais Tout le avventure di un antieroe che divenne altrettanto famoso, Arsène Lupin, scassinatore gentiluomo dallo charme tipicamente francese, che in alcuni casi beffava il quasi omonimo investigatore Herlock Sholmes (nella primissima versione il detective sconfitto era proprio Holmes, ma ovviamente Conan Doyle protestò). Tra le figure a cui Leblanc attinse per il suo personaggio, oltre a fuorilegge letterari come il già citato Rocambole, il raffinato ladro inglese Raffles o certi criminali protagonisti delle opere di Octave Mirbeau, c’era anche il politico locale Arsène Lopin, da cui prese ironicamente il nome, e soprattutto il geniale ladro anarchico Marius Jacob, il cui processo si era svolto pochi mesi prima. Il fatto che l’autore narrò per prima cosa l’arresto e la successiva evasione di Lupin, come altri dettagli dei suoi racconti, poteva quindi avere anche significati politici, per quanto espressi in tono leggero e satirico.
La serie originale di Leblanc si protrasse per circa venti volumi, ma anche di Arsène Lupin come di Holmes sono apparse continuazioni letterarie (in particolare in cinque romanzi di Pierre Boileau e Thomas Narcejac), innumerevoli trasposizioni cinematografiche, teatrali, televisive e naturalmente fumettistiche. Tra queste ultime (a parte il famoso Lupin III del giapponese Monkey Punch che ne sarebbe un discendente) si contano ovviamente varie versioni francesi, dalla prima serie a strisce di Cheylard e Bourdin pubblicata nel 1948 ai cinque album scritti tra gli anni ’80 e ’90 dal giallista André-Paul Duchâteau con i disegni di Géron. Tra le parodie a fumetti si possono invece citare Arsenico Lupon, creato dagli italiani Magnus e Bunker su Alan Ford, e Arpin Lusène, creato dall’italo-americano Don Rosa nelle storie di Donald Duck e compagni.


Joseph Rouletabille su L'Illustration, ottobre 1907


Anche Gaston Leroux, che come molti giallisti francesi era un ex-giornalista, si propose di fare concorrenza a Conan Doyle, non contrapponendo al suo Sherlock Holmes un possibile nemico, ma mettendo idealmente in competizione con lui un investigatore dall’acume simile. Ideò un personaggio altrettanto capace di risolvere i vari casi basandosi su puri ragionamenti deduttivi e con indosso un analogo vestito a quadretti, ma ironicamente molto più giovane e inesperto di Holmes e anche per questo più simpatico. Nel suo romanzo Il Mistero della Camera Gialla, del 1907, Leroux creò così il primo prototipo del giornalista-detective, il diciottenne Joseph Josephin detto Rouletabille (Fai Girar la tua Biglia), con riferimento alla sua testa piccola e tonda che deve mettersi in moto per risolvere gli enigmi su cui indaga. L’autore riutilizzò il personaggio in altri sei romanzi e anche su Rouletabille furono realizzati molti film, telefilm e radiodrammi.


Rouletabille vol. II, Collection Detective 10, Lefrancq, 1990

Questo giovane reporter avrebbe poi fornito lo spunto per alcuni dei primi eroi dei fumetti belgi a sfondo poliziesco e, ovviamente, furono tratte delle versioni a fumetti anche dal personaggio originale. Le Éditions Aventures & Voyages dal 1965 pubblicarono una serie di albi popolari intitolata a Rouletabille, che dopo una dozzina di numeri si fuse con quella di Rocambole. Due serie di album di maggior pregio furono realizzate tra gli anni ’80 e ’90 del ‘900. Della prima, pubblicata dalla Dargaud coi testi di Claude Moliterni e i disegni di Eugenio Sicomoro, un paio di episodi uscirono anche in Italia sulla rivista L’Eternauta.
Nella seconda, pubblicata dalle edizioni Lefrancq con le sceneggiature di André-Paul Duchâteau e i disegni di Bernard Swysen, il personaggio di Rouletabille viene inserito anche in altre storie scritte dal suo creatore Gaston Leroux, come Il Fantasma dell’Opera, romanzo ascrivibile più che al Giallo al genere gotico o Nero.


Il Fantasma dell'Opera, con Lon Chaney. Locandina del 1925.

 
1910-1955: Dal Giallo al Nero

Nei polizieschi moderni ogni personaggio è giustamente un impasto di vari sentimenti contraddittori e non lo si può etichettare semplicisticamente come buono o cattivo tout court. Nei feuilleton invece l’ambiguità di un personaggio come il delinquente-poliziotto alla Vidocq finiva spesso per essere risolta scindendola in due parenti dai caratteri diametralmente opposti. Per esempio, nel primo romanzo della serie di Rocambole, L’Eredità Misteriosa, il filantropo Armand de Kergaz è il fratellastro del perfido criminale Sir Williams.
La controparte malvagia di Rouletabille è invece suo padre, Ballmeyer, un feroce bandito internazionale dalle molte identità contro cui l’eroe lotta per salvare la madre, in un archetipo edipico ricorrente nella narrativa d’evasione e nei mass media fino a Guerre Stellari e Dylan Dog. Quando però alcuni autori passano dal Giallo al Nero, il protagonista della storia smette di essere il fratello o il parente “buono” e diventa quello “cattivo”.
È il caso di colui che si scoprirà essere il fratello del commissario Juve. Questi sembra aver ereditato tutta la parte buona, ma poco brillante, di un’ipotetica personalità comune e dà la caccia alla sua controparte come farebbe l’eroe di turno, ma il vero protagonista è il suo geniale gemello malvagio, ovvero Fantômas. 


Fantômas, poster terza serie, 1913.

 
Quando quest’ultimo nacque, l’idea di un simile “eroe” negativo non era del tutto originale. A parte i criminali già citati come Vidocq, Rocambole e Lupin, che finivano tutti per avere dei lati buoni, il prototipo del genio fuorilegge che con potenti invenzioni sfida da solo il Mondo intero risaliva in Francia ai libri di Jules Verne. È ciò che fa, già nel 1869, un pur romantico avventuriero come il suo capitano Nemo in Ventimila Leghe Sotto i Mari e, soprattutto, il protagonista del suo romanzo del 1886 Robur il Conquistatore, ma in questi casi le azioni violente nascono da nobili ideali. Nemo vuole vendicare i suoi cari e difendere gli oppressi, mentre Robur intende porre fine a guerre e ingiustizie, obbligando tutti alla pace sotto il ricatto delle sue armi (tipica giustificazione retorica che nella realtà ha sempre finito per mascherare ogni sorta di dittature). Invece i geni criminali nati intorno al 1910 rinunciano a tali alibi idealisti, per diventare delle pure personificazioni del Male.


Zà-La-Mort, Emilio Ghione

Nel 1909 lo scrittore Léon Sazi creò sul quotidiano Le Matin, come protagonista di una serie di racconti, un inquietante re del crimine incappucciato chiamato Zigomar, capo della millenaria setta assassina segreta dei Ramogiz (il suo nome al contrario). Questo totale antieroe portava alle estreme conseguenze i tratti più egoistici e ambiziosi, anche a livello politico, già presenti nei geni del Crimine suoi precursori, Rocambole e Lupin, ed ebbe un tale successo che approdò al cinema due anni dopo. Il nome di Zigomar riecheggiò poi in quelli simili di altri due criminali cinematografici. Il primo è Zà-La-Mort, delinquente-giustiziere degli apaches parigini interpretato in una serie di film francesi degli anni ‘10 dal cineasta Emilio Ghione. L’altro è Zagomar, fantomatico criminale apparso in un film italiano con Macario del 1944. Ha senz’altro origine da qui il nome di Zagar, il cattivo trasformista dei fumetti di Jacovitti nato in quel periodo, ma anche quello di Zagor, che, pur essendo un eroe positivo, affronta spesso situazioni tenebrose e inquietanti e perciò, come ricordato dal suo creatore grafico Gallieno Ferri, aveva bisogno di un nome che potesse evocare subito simili atmosfere.

Zigomar su Le Petit Journal


Nello stesso periodo di Zigomar, tra il 1909 e il 1910, Gaston Leroux pubblicò a puntate su Le Gaulois il romanzo Il Fantasma dell’Opera, il cui protagonista Erik porta mantello e maschera neri per celare le sue orribili fattezze e si nasconde tra i sotterranei e i passaggi segreti del Teatro dell’Opéra di Parigi, apparendo e scomparendo a piacimento e compiendo attentati omicidi quasi per capriccio (ma anche per amore).
La tragica e tormentata figura di Erik, alla fine, suscita più compassione che paura. La deformità del suo volto rappresenta in effetti le profonde e incancellabili ferite dell’anima che potrebbero spingere a isolarsi e comportarsi in modo perverso e spietato, proprio come i geni del Male dei romanzi neri. All’inizio, quello che oggi è il più celebre romanzo di Leroux, ebbe vendite basse e la successiva fama del suo personaggio si deve al fatto che sia stato rievocato e celebrato in molte versioni musicali per il teatro e film per il cinema e la TV.
Nel 1911, probabilmente ispirandosi all’allora famoso Zigomar e all’altrettanto tenebroso e nerovestito “fantasma” Erik (il cui soprannome in francese era Le Fantôme), i giornalisti Marcel Allain e Pierre Souvestre crearono l’ancor più violento e crudele Fantômas, un geniale assassino protagonista di una serie di romanzi mensili il cui successo fu enorme (ben sei milioni di lettori nella sola Francia). Mentre Rocambole o Lupin, nei romanzi originali, potevano anche essere sconfitti o colti dalla paura, un epico criminale come Fantômas era più eccezionale e inverosimile, immune tanto da comuni errori e debolezze umane quanto dalla pietà. A differenza di Erik, che coltivava vari talenti artistici ed era capace di amare, Fantômas appariva del tutto privo di sensibilità e sentimenti. Si trattava, in pratica, di una incarnazione del Male priva di compromessi. 

Fantomas n. 35, Mondadori. Copertina di Karel Thole.

 
Anche Fantômas ha conosciuto molti adattamenti cinematografici e teatrali, a partire dai cinque serial diretti da Louis Feuillade e prodotti dalla Gaumont già dal 1913. Tra le versioni a fumetti invece se ne possono citare varie edite in Messico, a cominciare da quella uscita tra il 1936 e il 1937 sulla rivista Paquìn.
Un’altra serie disegnata da Alfredo Valdés nel 1940 introdusse un Fantômas “quasi buono”, influenzando forse anche la successiva iniziata nel 1966 sulla collana Tesoro de Cuentos Clásicos, con la supervisione ai testi di Alfredo Cardona Peña e i disegni dei fratelli Rubén e Jorge Lara Romero. Questa versione a fumetti fu la più longeva e di maggior successo, portando Fantômas a essere protagonista dal 1969 di un proprio albo quindicinale, realizzato da un’intera equipe di autori messicani, che però finirono per stravolgere del tutto il personaggio, giungendo addirittura ad attribuire ai suoi crimini delle intenzioni altruistiche.
Inoltre, a differenza del costume nero col cappuccio che Fantômas indossava nei romanzi originali, i fumetti messicani lo mostravano con una maschera chiara che gli copriva il volto, come quella che aveva nei film degli anni ’60, e con un abito da sera analogo a quello della copertina originale del primo romanzo, per la quale l’illustratore doveva essersi ispirato al tipico abbigliamento di Lupin e di Rocambole.
In Francia apparve invece nel 1941, sul settimanale Gavroche, una più effimera serie a fumetti su testi dello stesso Allain, in cui il costume di Fantômas era quasi una versione nera di quello viola dell’eroe americano Phantom. Del resto quest’ultimo, insieme a altri eroici fuorilegge mascherati come Shadow e Batman, si può considerare a sua volta come una versione “buona” di Fantômas o del Fantasma dell’Opera. Di fatto la fama di Fantômas fu tale che per decenni ispirò altre figure incappucciate e vestite di nero, per lo più criminali come The Phantom Blot (Macchia Nera) e Diabolik, ma anche giustizieri più o meno violenti come Fantax.

Fantomas nella serie Tesoro de Cuentos Clàsicos, editorial Novaro, 1966


Come si è visto, ancora ai primi del ‘900, i feuilleton spesso univano alle trame poliziesche degli elementi inquietanti e fantasiosi, tipici dei romanzi gotici ottocenteschi. In questi casi, spesso si trattava di risolvere dei misteri più che dei delitti, anche se l’una cosa non escludeva l’altra. Tale impostazione, incentrata su casi misteriosi, ricorrerà poi abbastanza spesso anche in alcune delle più importanti serie a fumetti francofone.
In ambito letterario e cinematografico, diciotto anni dopo il mistero del Fantasma dell’Opera fu la volta di un altro personaggio multimediale intabarrato in un mantello nero, il Fantasma del Louvre.
Lo scrittore Arthur Bernède nel 1927 pubblicò sulle pagine del quotidiano Petit Parisien il più famoso dei suoi romanzi con protagonista il “Re dei Detective” Chantecoq. Il titolo è Belphégor (Belfagor) e la trama è la stessa dell’omonimo film prodotto in contemporanea dallo scrittore stesso. Il mistero da risolvere consiste nelle apparizioni di un’oscura figura mascherata in una sala del Louvre, presso una statua che raffigura il demone Belfagor (da cui il nome dato al “fantasma”). Si scopre alla fine che non c’è nulla di soprannaturale, ma la vicenda risulta ugualmente così affascinante (la prima edizione in volume vendette settecentomila copie) da originare poi uno sceneggiato di successo negli anni ’60, seguito da una prosecuzione a fumetti sui giornali e altre incarnazioni della misteriosa figura di Belfagor nei più diversi mass media, fino ai giorni nostri.
Uno dei motivi del successo di personaggi come Fantômas e Belfagor sembra essere proprio il fatto che non se ne conosce né il volto né l’identità. A questo proposito si può notare come il Fantasma dell’Opera, dopo che è stato smascherato, da affascinante e inquietante diventi patetico, forse perché a quel punto smette di incarnare un archetipo (il Male, o il Mistero) per ridursi ai limiti e ai difetti, fisici e psicologici, dell’umano.

Belfagor, edizione francese


A spazzar via da un momento all’altro tutti le fantasticherie da feuilleton, giunse nel 1931 lo scrittore belga Georges Simenon, creando l’umanissimo, del tutto plausibile e celeberrimo commissario Maigret. Questi fu poi trasposto anche a fumetti, alla fine degli anni ’50, dai disegnatori Jacques Blundeau e Pierre Degournay, le cui storie, tratte direttamente dai racconti, furono pubblicate in Italia dall’editrice La Freccia nel 1959.
Forse la più importante caratteristica di Maigret è la sua capacità di identificarsi cogli autori dei delitti su cui indaga, visti come persone da compatire che hanno vissuto una crisi più che come irrecuperabili criminali incalliti. Al centro dei suoi racconti, c’è la comprensione umana verso coloro che per qualche motivo hanno commesso errori che li pongono al di fuori della legge. Di fatto, le tantissime storie di Simenon con questo personaggio costituirono un passo essenziale verso il sempre maggior realismo del poliziesco in francese. 


Georges Simenon, nell'interpretazione di Aldo Di Gennaro, Alamancco del Giallo 1997

 
Nello stesso anno in cui Simenon creò Maigret, esordì nel poliziesco anche un altro importante scrittore belga, Stanislas-André Steeman, autore di ventisette romanzi con protagonista il commissario Wens. Subito dopo anche un altro romanziere “serio”, il francese Claude Aveline, si dedicò al Giallo, sia pure in misura più limitata, a partire dal volume del 1932 La Doppia Morte di Frédéric Belot, in cui l’ispettore che dà il titolo alla storia per l’appunto muore, una soluzione più tipica del Nero che del Giallo. Nonostante ciò, Aveline riutilizzò l’ispettore Belot in altri quattro romanzi, ovviamente ambientati prima della sua morte. Nel 1940, seguendo le orme di Steeman, esordì invece a quindici anni un giallista belga che si dedicherà poi con successo anche ai fumetti, André-Paul Duchâteau, autore di trenta avventure dell’ispettore Leclerc, adattate anche per la TV. 
Ben presto gli scrittori più spregiudicati iniziarono a esplorare le possibilità del realismo sul fronte del noir.
Nel 1945 esordì la collana della Serie Noir curata da Marcel Duhamel, che fin dall’inizio si propose di presentare storie con molta “azione, angoscia, violenza e massacri”, in cui i poliziotti possono anche essere “più corrotti dei delinquenti che braccano” e mistero e detective possono addirittura mancare. 

Léo Malet visto da Carlo Ambrosini, da Napoleone n. 7, 1998

 
È ciò che troviamo nei gialli di uno scrittore anarchico libertario venuto dal giornalismo come Léo Malet, autore dagli anni ’40 di romanzi noir ambientati in modo crudo e realistico nell’ambiente della mala parigina. Quelli con protagonista il detective Nestor Burma, come Nebbia sul Ponte di Tolbiac e 120 Rue de La Gare, più tardi furono adattati a fumetti dallo stesso Malet con i disegni di Jacques Tardi, in storie apparse a puntate sul mensile belga A Suivre e subito dopo uscite in Italia sulla rivista Comic Art dal 1990.
In altri romanzi di Malet dai titoli espliciti e pittoreschi come La Vita è uno Schifo, Il Sole non è per Noi, Nodo alle Budella, forse ispirati anche dai libri scritti dal 1946 dall’ex-detenuto Auguste Le Breton, i protagonisti sono direttamente degli esponenti della malavita: rapinatori sanguinari, giovani scapestrati e rozze canaglie.


Nestor Burma di Tardi, da Nebbia sul Ponte di Tolbiac, pag. 3


Anche un altro giornalista francese, Frédéric Dard, sotto lo pseudonimo di San-Antonio ha scritto dal 1949 una lunghissima serie di romanzi noir dallo stile aggressivo, ma che si fanno via via sempre più satirici e strampalati, con protagonista il commissario buontempone e donnaiolo Antoine San-Antonio, di cui narra le vicende in prima persona, come fossero storie autobiografiche. È buffo anche come l’autore scelse il nome del personaggio, puntando a caso il dito su una carta degli Stati Uniti alla ricerca di un vocabolo inglese e trovando invece un nome da popoli latini (San Antònio è una città del Texas fondata dagli Spagnoli).
I primi libri della serie non ebbero successo ma col tempo questo crebbe sempre più, finché tra gli anni ’60 e ’80 le tirature minime dei romanzi di San-Antonio, in cui ebbe sempre più spazio il pantagruelico personaggio dell’ispettore Bérurier, in Francia passarono da 200.000 a 700.000 copie circa per ogni titolo. Anche in Italia sono stati pubblicati molti suoi romanzi, ma col nome dalla grafia modificata in Sanantonio, forse per evitare equivoci religiosi. Nel nostro paese però il personaggio non poteva avere lo stesso successo, poiché gran parte della sua attrattiva è dovuta a uno stile di scrittura alla Rabelais, con termini gergali, neologismi, giochi di parole e digressioni deliranti ed esagerate, di cui molto va inevitabilmente perduto nelle traduzioni.
La serie di San-Antonio proseguì fino al 2001, superando i 170 libri, e fu poi ripresa dal figlio dell’autore.
Dal 1968, San-Antonio fu adattato a strisce sul quotidiano France-Soir con i disegni di Henry Blanc e, dal 1972, in sette album a fumetti di Henri Desclez, di cui solo due furono pubblicati in Italia dalla Mondadori.

Sanantonio n. 7, Mondadori, 1971


La coppia di scrittori Pierre Boileau e Thomas Narcejac, dal 1952 si specializzò invece in più seri romanzi di suspense, di cui il terzo fu adattato da Hitchcock nel 1958 nel film Vertigo (La Donna che Visse due Volte).
Tra gli scrittori francesi che contribuirono di più a rinnovare il romanzo a tema criminale, riportandolo entro una maggiore verosimiglianza rispetto ai vecchi schemi del feuilleton, ci furono anche degli autori che non erano letterati o giornalisti ma che, analogamente al capostipite Vidocq, nella loro vita avevano avuto una diretta esperienza della malavita e del carcere, come Albert Simonin e Auguste Le Breton.
Molti termini in argot, la parlata dei bassifondi di Parigi, erano già apparsi nelle Memorie di Vidocq, nei Misteri di Parigi di Sue e nei romanzi di San-Antonio, ma Albert Simonin, che quel linguaggio lo conosceva bene, nel 1953 fu il primo a scrivere un intero romanzo nel gergo della mala parigina, Touchez pas au Grisbi! (ovvero Non Toccate il Malloppo!), da cui l’anno seguente fu tratto il celebre film Grisbì con Jean Gabin.
Lo stesso fece nello stesso anno anche Auguste Monfort, detto dai compari Auguste le Breton perché nativo della Bretagna, che mantenne il nomignolo come pseudonimo letterario quando cominciò a raccontare le sue dure esperienze di vita in una serie di romanzi più o meno autobiografici. Il suo primo romanzo in gergo fu trasposto in uno dei più famosi film polizieschi francesi, Rififi (che significa guerra tra gang), diretto da Jules Dassin nel 1955, a cui seguirono altre quindici pellicole tratte dalle sue storie. Nella seconda stagione dei suoi romanzi, iniziata nel 1977, Le Breton raccontò storie ancora più violente delle precedenti, ispirandosi a fatti di cronaca, sequestri e attentati, anche a sfondo politico, caratteristiche oggi tipiche degli attuali polar.


Rififi, 1955. Poster spagnolo.


1940-1960: I misteri del fumetto belga

Tra i primi personaggi dei fumetti francofoni, all’inizio esclusivamente umoristici, a vivere vicende a sfondo poliziesco ci furono due giovanissimi avventurieri: Bibì Fricotin, creato nel 1924 dal francese Louis Forton, e Tintin, creato nel 1929 dal maestro del fumetto belga Georges Rémi, in arte Hergé. È dagli anni ’40 però che cominciarono a essere sviluppate e rielaborate delle serie thriller sempre più realistiche, soprattutto in Belgio, all’epoca assoluto paese leader del fumetto in lingua francese. Forse il merito fu anche della concorrenza creativa iniziata nel dopoguerra tra i due principali settimanali del settore, Spirou dell’editrice Dupuis e Tintin delle Editions du Lombard, che, pubblicando fumetti a puntate come i vecchi feuilleton, facevano a gara nel contrapporre di volta in volta personaggi di genere analogo per tentare di rubarsi i lettori a vicenda.
Il reporter giramondo Tintin, titolare del suo settimanale dal 1946, ha una testa piccola e tonda come quella di Rouletabille e, data anche la giovane età di entrambi, si potrebbe pensare che sia stato almeno in parte ispirato dal giornalista-detective creato da Leroux, oltre che dal mondo dello scoutismo. 

Tintin, Les 7 boules de cristal, Lombard, 1948
 
Spesso in concorrenza o in collaborazione con i due poliziotti pasticcioni Dupont e Dupont, nella sua lunga carriera Tintin è stato protagonista di storie esotiche ma con elementi di thriller come I Sigari del Faraone o Il Granchio d’Oro, in cui lotta contro dei trafficanti di oppio, di misteri archeologici come Le Sette Sfere di Cristallo, in cui indaga sulla maledizione di una mummia inca, e anche di un’avventura scherzosamente poliziesca come I Gioielli della Castafiore, dove Hergé sovverte e sconvolge tutte le classiche regole del giallo e della suspense, con Tintin che alla fine scopre che il presunto furto non aveva nessun vero colpevole.
Gli album di Tintin, editi in Belgio da Casterman, sono stati pubblicati in Italia dall’Editrice Gandus, dalla Comic Art e, intorno al 2000, dalla Lizard. I Gioielli della Castafiore è stato raccolto, insieme ad altri episodi, anche nel volume 25 dei Classici del Fumetto di Repubblica, allegato all’omonimo quotidiano nel 2003.

Jean Valhardi, vol. 3, di Eddy Paape. Dupuis, 1953


Intanto, sul settimanale concorrente Spirou, dal 1941 veniva pubblicato a puntate uno dei primi polizieschi realistici del fumetto francofono, la serie del detective Jean Valhardi, scritta da Jean Doisy e disegnata da Joseph Gillain, in arte Jijé. Il protagonista è un biondo e aitante investigatore assicurativo, che gira per il mondo andando là dove lo portano le sue inchieste e che costituì il primo prototipo di molti successivi eroi avventurosi del fumetto belga. Provvisoriamente proseguito nei primi anni ’50 da Eddy Paape per i disegni e da Jean-Michel Charlier per i testi, Valhardi venne poi ripreso nuovamente da Jijé fino al 1965 e, dopo una lunga pausa, riapparve nel 1984 coi testi dell’instancabile André-Paul Duchâteau e i disegni di René Follet.
Totalmente incentrata su casi misteriosi, è invece la fondamentale serie Le Avventure di Blake e Mortimer, uscita su Tintin dal 1946 e realizzata dall’altro grande maestro del fumetto belga e collaboratore di Hergé, Edgar Pierre Jacobs, che fu tra l’altro l’ideatore di molti dettagli delle Sette Sfere di Cristallo. Se molte delle sue storie con protagonisti l’inventore e studioso Philip Mortimer e il capitano del servizio segreto britannico Francis Blake sono decisamente fantascientifiche, altre rientrano a pieno diritto anche nel poliziesco. 

Blake & Mortimer: Il marchio Giallo. Grandi eroi n. 23, Comic Art, 1988

 
Ciò è vero innanzitutto per Il Marchio Giallo, una storia ambientata a Londra in cui il misterioso colpevole di una serie di rapimenti, che è dotato di strani poteri, non è evidentemente un essere umano. All’epoca l’episodio attirò su Jacobs critiche per una ”violenza eccessiva” che oggi non preoccuperebbe nessuno. Un’altra sua storia gialla, questa volta del tutto priva di elementi fantastici, è Il Caso della Collana. Qui, in una Parigi perfettamente ricostruita, il criminale Orlik (che poi ispirerà il Sergej Orloff di Martin Mystère) ruba la famosa collana di Maria Antonietta che prima della Rivoluzione era stata al centro di uno scandalo dai risvolti politici, che ispirò anche Alexandre Dumas per una parte della trama de I Tre Moschettieri.
In Italia, Blake e Mortimer apparvero negli anni ’60 sulla collana dei Classici Audacia di Mondadori. In seguito furono pubblicati dall’editrice Gandus, dalla Comic Art e, in anni più recenti, dall’Alessandro Editore.
Alla fine degli anni ‘40 la rivista Tintin ospitò anche l’attore-detective Monsieur Barelli, protagonista di una serie semi-umoristica realizzata da Bob de Moor. Questa ebbe comunque vita breve, perché l’autore passò ben presto a collaborare stabilmente con Hergé, che reclutava i migliori disegnatori per il suo Tintin. 

Lefranc, di Jacques Martin

 
Seguirono nel 1952, di nuovo su Tintin, le avventure del giornalista Guy Lefranc, di Jacques Martin, in cui misteriosi intrighi dagli scenari apocalittici, molto simili anche nella grafica a quelli di Jacobs, vedono inizialmente il protagonista, assistito dal giovane boyscout Jeanjean, lottare contro l’elegante Axel Borg, spia internazionale e ladro gentiluomo alla Lupin. Le storie di Lefranc ebbero un successo immediato fin dal primo episodio uscito a puntate, La Grande Minaccia, e ottennero un grande riscontro di vendite fin dalla sua prima riedizione in album nel 1954, non solo in Belgio e Francia, ma anche in Sud-America. Ciò fece entrare anche Martin tra i collaboratori dello studio di Hergé, ma provocò dissidi con Jacobs, che, viste le evidenti affinità di Lefranc coi suoi Blake e Mortimer, si ritenne defraudato del suo stile e da quel momento cominciò a nascondere appunti e schizzi preparatori delle sue storie, per paura che le sue idee fossero copiate da altri.
Martin intanto, dal secondo episodio di Lefranc rese il proprio stile maggiormente realistico ma, dopo averne realizzati da solo i primi tre episodi, fu assorbito sempre più dalla serie del guerriero gallico Alix, oltre che dalla collaborazione alle storie di Tintin. Pur continuando a lungo a scriverne i testi, dovette quindi affidare la parte grafica di Lefranc a vari altri disegnatori, tra cui spicca per continuità Gilles Chaillet.
Anche se con lunghe pause e l’alternanza di vari autori, le storie di Lefranc sono continuate fino a oggi, arrivando a venticinque episodi che spaziano dallo spionaggio alla fantascienza e dal thriller all’avventura esotica, tradotti in oltre dieci lingue ma a lungo inediti in Italia. Solo ora ha iniziato a pubblicarli da noi l’editrice Nova Express nella serie Lefranc l’Integrale, che dovrebbe raccoglierli in sette volumi cronologici.


Ric Hochet n. 1. Le Lombard, 1961


Sempre su Tintin, esordì nel 1955 un altro giornalista-detective, Ric Hochet, noto in Italia come Ric Roland da quando uscì sui Classici Audacia di Mondadori, a partire dal n°27 del 1966 intitolato Sfida a Ric Roland.
I suoi autori, il disegnatore Gilbert Gascard, alias Tibet, e l’affermato scrittore di romanzi gialli André-Paul Duchâteau, si rifecero ad alcuni dei locali capostipiti del genere (Rouletabille, Tintin e soprattutto Valhardi), mentre fisicamente Tibet ne riprese le fattezze dal suo precedente personaggio comico-western Chick Bill e dall’attore Gérard Blain. Il personaggio nacque proprio per iniziativa di Tibet che, per avere successo, dopo le opere di Jijé, Jacobs e Martin, si era convinto di dover realizzare anche lui una serie avventurosa realistica.
Il nome Ric Hochet è un gioco di parole, poiché in francese ricochet significa rimbalzo e indica in particolare quel gioco che consiste nel far rimbalzare dei sassi piatti sull’acqua. In senso metaforico, la parola ricochet indica quindi anche una serie di eventi strettamente e inesorabilmente concatenati in rapida successione, che è esattamente ciò che si verifica nelle appassionanti storie thriller di questo personaggio.
All’inizio Ric Hochet era un giovanissimo strillone del giornale La Rafale, protagonista di due brevi episodi che non facevano presagire il successo che ebbe in seguito. Questo arrivò nel 1958, non con le storie a fumetti, ma con una rubrica di enigmi polizieschi scritta e illustrata dai suoi autori, intitolata Raccogliete la Sfida!, che invitava il lettore di Tintin a risolvere i vari casi in gara con un Ric ormai adulto e affermato reporter. Da quel momento collaborerà quasi sempre nelle sue indagini col commissario Bourdoun, che per aspetto e carattere ricorda Maigret (la parola bourdon in francese ha vari significati, come bastone da pellegrino, calabrone e grossa campana, che possono alludere tutti a una persona anziana e brontolona ma ancora attiva).


Ric Hochet n. 19. Le Lombard, 1974


L’anno seguente ripresero anche le sue storie a fumetti e, dal 1961, Ric Hochet fu protagonista di episodi più lunghi che lo resero rapidamente il personaggio di maggior successo del settimanale Tintin e il principale eroe poliziesco del fumetto belga, grazie all’originalità delle sempre ben congegnate trame di Duchâteau e al crescente realismo e meticolosità dei disegni di Tibet, che conservano comunque anche dei tratti caricaturali.
I punti di forza della serie furono che lo sceneggiatore fosse un giallista di professione e che il disegnatore fosse così rapido da produrne due volumi all’anno (a differenza di serie più elaborate e raffinate, come Blake e Mortimer o Lefranc, che avevano tempi di realizzazione lunghissimi), tanto da arrivare nel 2010 ad aver realizzato insieme un totale di 78 album di Ric Hochet, un numero molto alto per la produzione francofona.
Col tempo gli autori aggiunsero alla serie anche altri comprimari. I più importanti sono la bella Nadine, nipote del commissario Bourdon, come eterna fidanzata e l’ex-rapinatore Richard senior, il padre di Ric che, riapparso dopo anni, gareggia con lui in alcune indagini, un personaggio che rientra nella tradizione dei criminali redenti alla Vidocq ispirato al fatto che il disegnatore Tibet era cresciuto senza conoscere il padre. Un altro saltuario comprimario è il professor Hermelin, un burbero scienziato coinvolto in casi stravaganti.

La Porche 911 di Ric Hochet nel modellino di Jean-Michel Aroutcheff

Il rapporto di amicizia quasi filiale tra Ric e Bourdon richiama quello tra analoghi personaggi polizieschi come lo scrittore-detective Ellery Queen e l’ispettore Richard Queen suo padre, o la coppia fumettistica costituita da Topolino e Basettoni. Come Ellery, Ric Hochet sembra passare quasi tutto il suo tempo a risolvere casi misteriosi anziché svolgere la sua attività principale, che sarebbe il giornalista. D’altronde Bourdon, come l’ispettore Queen e Basettoni, sembra in genere incapace di cavare un ragno dal buco senza l’aiuto del suo giovane amico, salvo reagire e riscattarsi ampiamente quando Ric si trova in pesanti difficoltà, o addirittura in pericolo di vita. In questi casi, spesso è proprio Bourdon che accorre a salvarlo risolvendo la situazione.
A parte queste forzature, che fanno parte del gioco, le storie di Ric Hochet, pur piene di azione, suspense e misteri, nelle soluzioni sono sempre estremamente plausibili. Dal 1969, a partire da uno dei migliori episodi, Gli Spettri della Notte, Duchâteau introduce però nelle trame degli apparenti elementi fantastici e horror.
Tali enigmi finiscono sempre per essere spiegati in modo verosimile come imbrogli e trucchi di vario tipo, costituendo solo un aumento di complessità nel gioco tra autori e lettori. Il conseguente incremento di suspense dovuto all’aggiunta del dubbio, che resiste fino alla fine, su cosa ci sia o meno di vero negli eventi apparentemente impossibili che si verificano, può aver fatto scuola per molti autori successivi, compreso forse anche il Tiziano Sclavi di Dylan Dog, benché lì i mostri nella maggior parte dei casi risultino reali. Tra tali incubi fittizi, sfilano poi attori e celebrità alle cui fattezze Tibet si ispira per caratterizzare i personaggi, da Jack Palance a Philippe Noiret, da Stanlio e Ollio a Salvador Dalì, da Jean Gabin a Bernard Blier.
A conferma del suo successo, nonché dell’attenzione con cui i fumetti sono seguiti nel suo paese dal grande pubblico, Ric Hochet è stato anche protagonista di una serie di telefilm prodotti dalla TV belga.
In Italia, sempre col nome di Ric Roland, fu pubblicato negli anni ’70 anche sugli Albi Ardimento, sul Corriere dei Piccoli e sul Corriere dei Ragazzi, mentre successivamente è apparso su Il Messaggero dei Ragazzi.

Tout Gil Jourdan n. 1, Dupuis.


Tra gli altri fumetti polizieschi belgi nati nello stesso periodo, va citato innanzitutto il giovane detective privato semi-umoristico Gil Jourdan, creato su Spirou nel 1956 da Maurice Tillieux riprendendo le fattezze di un suo precedente personaggio (l’investigatore occhialuto Félix da lui disegnato per un altro editore), ma dotandolo di un look più elegante. L’abito blu di Jourdan ricorda l’abbigliamento iniziale di Valhardi e Lefranc (o dello Spirit di Will Eisner), ma con un papillon al posto della cravatta che lo fa apparire ancor più raffinato.
I suoi abiti sono quindi adulti e plausibili, rispetto a quelli di altri giovani eroi francofoni stilizzati come Tintin, così come sono concreti i suoi problemi, che comprendono la necessità pratica di guadagnarsi di che vivere, un bisogno che perfino molti personaggi realistici dei fumetti di ogni paese spesso non sembrano avere.
I principali comprimari, anch’essi ispirati a quelli di Félix, sono il grosso ex-scassinatore Libellule (Libellula), ora aiutante di Jourdan che lo ha aiutato a evadere, l’esile e baffuto ispettore Croûton (che in francese significa crostino ma anche sciocco), talmente ridicolizzato nei primi episodi che in Francia furono a lungo censurati per offese alla polizia, e la giovane assistente Queue-de-Cerise (letteralmente Coda di Ciliegia).
Ma i disegni in stile cartoon, le gag e i giochi di parole non impediscono che le storie di Jourdan siano veri e propri gialli, nella tradizione del fumetto belga che associa a personaggi umoristici anche trame avventurose. Va notato infatti che anche Tillieux, come Dûchateau, è stato uno scrittore di romanzi polizieschi fin dal 1943. Del resto, secondo alcuni, le ispirazioni delle atmosfere di Gil Jourdan non andrebbero cercate tanto in altri fumetti, quanto nelle opere di romanzieri noir come Léo Malet, Georges Simenon e Frédéric Dard. 

Gil Jourdan di Maurice Tillieux
 

Grazie alla qualità delle sceneggiature, Jourdan ebbe subito successo tra i lettori di Spirou, come Ric Hochet l’avrà due anni dopo tra quelli di Tintin, tanto che da noi qualcuno ha creduto erroneamente che i due eroi, essendo nati nello stesso periodo, fossero la parodia l’uno dell’altro. In realtà lo stile grafico umoristico non ha impedito a Tillieux di trattare temi forti come il traffico di droga, così come ha fatto anche Hergé con Tintin, benché l’autore di Jourdan per evitare censure abbia preferito inventare una droga immaginaria, la popaïne (popaina, si direbbe forse in italiano). Per i fumetti belgi dell’epoca inoltre, sfondi e dettagli delle storie di Jourdan erano considerati abbastanza accurati e realistici, soprattutto le automobili di cui Tillieux era un appassionato, a cominciare da quelle del protagonista, che guida prima una Peugeot e poi due diversi modelli di Renault, tutte riconoscibili con precisione a differenza delle generiche auto “comiche” stile Disney.
Per la carenza di buone sceneggiature all’interno del giornale Spirou, Tillieux fu poi impegnato nella scrittura di altre serie, per cui dal 1969 la parte grafica di Gil Jourdan fu portata avanti dal disegnatore Gos. Nove anni dopo, la serie si interruppe per la morte dell’autore in un incidente e l’ultimo episodio fu interamente realizzato dal suo collaboratore. Paradossalmente, gli incidenti stradali erano tra gli eventi che Tillieux aveva più rappresentato nelle sue storie. Nessuno ha proseguito Gil Jourdan in seguito perché i familiari dell’autore, divenuti proprietari del personaggio, hanno rifiutato tutti i disegnatori proposti a tale scopo dall’editore.
Famosissimo e apprezzato in patria e in Francia, dove ne sono usciti sedici album, poi più volte ristampati e raccolti in volumi, Gil Jourdan è meno noto a livello mondiale e molto poco in Italia, dove è stato pubblicato di rado. Da noi si può ricordare la sua apparizione nella Collana Grandi Albi de l’Avventuroso negli anni ’70.

Bob Morane di William Vance

Visti poi i tanti eroici giornalisti che apparivano su Tintin, anche Spirou non poté evitare di ospitarne uno e nel 1958, mentre esplodeva il successo di Ric Hochet in versione “enigmistica”, Jean-Michel Charlier e Eddy Paape crearono a loro volta il giornalista-detective Marc Dacier, che però non ebbe altrettanta fortuna.
Tra gli ultimi polizieschi a fumetti belgi degli anni ’50 troviamo inoltre Clifton, una serie umoristica creata da Raymond Macherot nel 1959 e poi proseguita da altri, incentrata su un colonnello inglese in pensione che per hobby fa il detective, aiuta Scotland Yard e ottiene dei buoni risultati più per fortuna che altro.
Appartiene almeno in parte al thriller anche l’avventuriero Bob Morane, nato nel 1953 come eroe di una popolare serie di oltre duecento romanzi d’azione dello scrittore belga Charles-Henri Dewisme, in arte Henri Vernes, e dal 1959 al 1967 trasposto da questi con altrettanto successo in un primo ciclo di fumetti disegnati da Dino Attanasio prima e da Gérald Forton poi, sulle pagine delle riviste Femmes d’Aujourd’hui e Pilote.
Con un passato di pilota della RAF e di esploratore a tempo pieno, Morane si differenzia da Ric Hochet per essere solo un ex-giornalista, il ché almeno giustifica il fatto che non lo vediamo mai svolgere quel mestiere, ma anche perché, a differenza di quanto accade a Ric, i fenomeni incredibili su cui Bob indaga in giro per il mondo spesso risultano essere davvero soprannaturali, o dovuti a cause decisamente fantascientifiche. L’eroe di Vernes ovunque si reca collabora coi rappresentanti dei locali servizi segreti e di polizia, che sia la CIA, Scotland Yard o la Polizia Canadese a Cavallo, ma non si sa mai quali eventi l’indagine potrà scatenare.

Bob Morane vol. 13. Dargaud, 1971

Insieme all’amico scozzese Bill Ballatine, Bob Morane affronta criminali realistici ma anche terribili nemici che sembrano usciti dai feuilleton, come il malefico orientale Mister Ming, alias L’Ombra Gialla, che, come il Fu Manchu dei romanzi dell’inglese Sax Rohmer, vorrebbe spazzare via l’intera civiltà occidentale e che, molto prima che si parlasse di clonazione, inventa un metodo per rigenerare il proprio corpo ogni volta che rimane ucciso, comoda spiegazione fantascientifica per giustificare una volta per tutte l’eterno ritorno del cattivo.
La caratterizzazione grafica di quest’ultimo personaggio e dell’intera serie, si fece più azzeccata e inquietante quando, dal 1969, venne ripresa su Tintin e subentrò come nuovo disegnatore William Van Cutsen, in arte William Vance, che con uno stile più moderno e dinamico rispetto agli artisti precedenti ne tratteggiò gli episodi più interessanti, tra situazioni spionistiche alla James Bond e viaggi extra-temporali.
Già nella prima storia disegnata da Vance, Operazione Cavaliere Nero, le pur fantasiose avventure esotiche precedenti lasciarono il posto a un episodio di vera e propria fantascienza. Nel 1979 i disegni passarono poi all’assistente di Vance, Felicísimo Coria, che ha realizzato più della metà dei circa settanta album della serie.
Nel nostro paese, dopo essere stato pubblicato sugli Albi Ardimento e sulla Collana Grandi Albi negli anni ’70 e sul settimanale Skorpio negli anni ‘80, Bob Morane ha visto infine alcuni dei suoi episodi migliori (tre degli ultimi di Forton e i primi sette di Vance) apparire a due a due su una propria testata mensile in bianco e nero, pubblicata dall’Editoriale Aurea tra il 2012 e il 2013, ma purtroppo durata appena cinque numeri.

Bon Morane. Le Lombard, 2012

Dal Bob Morane di Vernes, eroe inossidabile e riciclabile che resiste al tempo e alle mode, negli anni ’60 sono stati tratti un film andato perduto e una serie di ventisei telefilm divisi in due stagioni, riproposti in DVD nel 2001, mentre nel 1998 ne è stata prodotta una serie animata che, a giudicare dalla stilizzazione dei disegni, forse intendeva essere una risposta francese ai cartoni animati di Batman di quegli anni.
Mentre l’umoristico Clifton anticipava le ben più graffianti parodie del genere che nasceranno in Francia dagli anni ’60, Bob Morane è l’ideale collegamento tra i classici misteri archeologici alla Jacobs e i moderni intrighi spionistici che domineranno i thriller francofoni a fumetti nei decenni successivi. Tanto è vero che nel 2012 ne è stata realizzata ex-novo una nuova versione a fumetti più realistica e attuale, firmata da Luc Brunschwig e Aurélien Ducoudray per i testi e da Dimitri Armand per i disegni.


Andrea Cantucci
(fine 1a parte)


N.B. Trovate i link alle altre puntate sui "bonellidi" andando su Cronologie & Index! Nella stessa pagina trovate anche i link agli altri articoli che Dime Web ha dedicato al fumetto franco-belga.

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