giovedì 24 luglio 2014

L'ANGOLO DEL BONELLIDE (X) - LUNGO LE STRADE DI MALEFOSSE

 di Andrea Cantucci


“… per vivere non si può far altro che lasciarsi alle spalle il passato... e inseguire il futuro!”
da Les Chemins de Malefosse, episodio 6


Il titolo Les Chemins de Malefosse, reso efficacemente in italiano come I Sentieri di Malefosse, si riferisce all’omonimo luogo infernale immaginato da Dante Alighieri nella sua Commedia. Malefosse o Malebolge è il termine usato dal poeta per indicare le zone in cui si divide l’ottavo cerchio o girone dell’Inferno, in cui sono puniti i fraudolenti: seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, ipocriti, ladri, cattivi consiglieri, seminatori di discordie, falsari e barattieri (gli odierni rei di concussione). Un analogo campionario di soprusi, corruzioni e debolezze umane si ritrova anche nella serie così intitolata edita in Francia dalle Editions Glénat dal 1983 e tuttora in corso di pubblicazione. Da noi uscì sulla collana Le Avventure della Storia della Glénat Italia dal 1986 al 1993 ed è ora riproposta dall’Editoriale Cosmo nel più economico formato bonellide in bianco e nero.

Primo bonellide Cosmo dedicato alla serie. Cover di François Dermaut

I Sentieri di Malefosse, scritta da Daniel Bardet e disegnata da François Dermaut, è una serie ambientata in Francia sul finire del XVI secolo, durante le guerre di religione tra cattolici e ugonotti (i calvinisti francesi). Al suo interno il termine Malefosse è usato per indicare genericamente l’Inferno, a un passo dal quale il regno si trova a causa della guerra, che quando inizia la serie si protrae da venticinque anni. Era stata scatenata nel 1562 da un massacro compiuto ai danni dei protestanti e infatti, nel fumetto, i cattivi della situazione sono inizialmente i fanatici cattolici. La prima stagione, raccolta in tre numeri dalla Cosmo, corrisponde ai sei album già pubblicati a colori tra gli anni ’80 e ’90 dalla Glénat Italia e si svolge tra il 1589 e il 1590.
La saga prende l’avvio quando il capitano Gunther, alla testa di un gruppo di cavalleggeri tedeschi mercenari (detti raitri e soprannominati dai cattolici diavoli neri) che in quanto protestanti sono al soldo degli ugonotti, domanda alla guaritrice di un villaggio, madame Jeanne, di curare uno dei suoi uomini gravemente ferito. La donna in cambio chiede che Gunther e i suoi le salvino la figlia, Pernette, prigioniera nel paese di Courcelles-Les-Gisors degli uomini della Lega Cattolica, di cui è a capo il fanatico e turpe monaco Jean Louvel. Questi, oltre a soprusi ed estorsioni ai danni dei contadini, è responsabile di aver bruciato gli occhi a Jeanne, non perché ritenuta una strega, ma perché si era rifiutata di usare i suoi presunti poteri a vantaggio dei cattolici.
Il primo episodio, solo apparentemente auto-conclusivo, anticipa in una singola frase lo sviluppo successivo della storia, quando Jeanne dice a Gunther che è in atto una congiura per uccidere due dei tre rivali, tutti di nome Enrico, che in quel momento si contendono il trono di Francia. Il complotto è chiaramente ordito dai cattolici, che sostengono Enrico di Guisa, inizialmente scomodo alleato di Enrico III di Valois contro il fratello di quest’ultimo Enrico di Navarra, sostenitore della causa dei protestanti. Gunther e il fido compagno Pritz, nel secondo episodio intervengono proprio per salvare la vita dell’ugonotto Enrico di Navarra e restano gli unici superstiti dei diavoli neri. Quel pretendente diverrà poi il nuovo re di Francia, dopo che suo fratello Enrico III è ucciso da un cattolico per vendicare Enrico di Guisa, che questi aveva fatto assassinare.
La morte di Enrico III, storicamente imputata a un singolo fanatico, qui viene fatta rientrare nel complotto cattolico, ma è giusto ricordare che era stato Enrico III il primo a tradire il suo alleato Enrico di Guisa, appena la forza militare dei suoi alleati spagnoli s’indebolì. Comunque restava unico candidato Enrico di Navarra, riconosciuto dal fratello come successore in punto di morte purché si converta al Cattolicesimo. È il re, poi salito al trono come Enrico IV, cui è attribuita la frase “Parigi val bene una messa.” Al momento in cui si svolgono gli eventi del secondo episodio, deve però ancora combattere per conquistare il suo regno.

Ritratto del vero Enrico IV...

Al complotto contro il futuro re, che Gunther e Pritz devono sventare, non prende parte solo il bieco Louvel, ma anche l’irrequieta Pernette, che preferisce lasciare le campagne per gli intrighi cittadini, armata del suo bel corpo, della sua avventatezza e dei suoi pochi scrupoli. Il ritratto che Bardet e Dermaut fanno di Enrico IV, coerentemente con la realtà storica, è appunto quello di un inguaribile donnaiolo, descritto con appetiti sessuali altrettanto insaziabili anche in un altro capolavoro del fumetto storico uscito negli stessi anni e ambientato alla fine del suo regno, Le Sette Vite dello Sparviero di Patrick Cothias e André Julliard. Nel secondo episodio di Malefosse, è proprio la passione di Enrico per le belle donne a metterne in pericolo la vita, rischiando così di far precipitare nuovamente la Francia in un lungo periodo di faide e guerre intestine.

...e la versione di Juillard

Una volta salvo, Enrico IV incarica personalmente i due mercenari tedeschi di catturare il monaco fuggitivo Louvel e, lungo una strada sempre più disseminata di cadaveri (la strada per l’Inferno appunto), Gunther e Pritz si avventurano in una Parigi ancora saldamente in mano alla Lega Cattolica e incontrano altri personaggi picareschi come il misterioso Arcangelo, che si definisce re dei folli della città e vuole vendere al re un diamante, o il suo giovane accolito Volto di Cenere, che per un po’ si aggregherà alla compagnia.
Il personaggio decisamente androgino dell’Arcangelo può ricordare in qualche modo quello di Ariane de Troïl, alias Masquerouge, che Cothias e Juillard svilupparono parallelamente su Le Sette Vite dello Sparviero, pubblicato in contemporanea dallo stesso editore, come in una gara tra fumettisti che si cimentavano a elaborare in modo diverso temi più o meno analoghi, una gara in cui chi ci ha guadagnato sono i lettori.

Gunther e Pernette. Disegno di François Dermaut
Il personaggio simpaticamente canagliesco di Volto di Cenere ricorda invece altri ragazzi di strada parigini, tipici dei feuilleton francesi, come il Gavroche dei Miserabili di Victor Hugo. La descrizione che il grande romanziere fa di Gavroche, soprannome che letteralmente significa monello, si adatta infatti perfettamente anche a Volto di Cenere: “un fanciullo chiassoso, pallido, svelto, sveglio e motteggiatore, dall’aspetto vivace e malaticcio. Andava e veniva, (…) rubava un pochino, ma come i gatti e i passeri, allegramente.”  Ciò che distingue il monello di Malefosse dal suo precedente letterario è una maggiore durezza, dovuta alle difficoltà e ai pericoli di un’epoca più sanguinaria, ma anche il rapporto di evidente affetto che lo lega all’Arcangelo, verso cui ha atteggiamenti ben diversi rispetto all’aria sicura di sé che assume con tutti gli altri personaggi.
Mentre la ricerca del prezioso diamante dell’Arcangelo diventa un obiettivo di entrambe le parti, che sperano così di finanziare la loro causa, col quarto episodio (nel n°2 dell’edizione Cosmo) ha termine il primo arco narrativo, che vede Gunther e Jeanne mettere apparentemente fine alla minaccia di Louvel. Il diamante finisce nelle tasche di Enrico IV, di cui il malandrino Volto di Cenere dice “mai conosciuto furfante peggiore”.
Curiosamente, mentre qui sembra che i protestanti abbiano vinto e la Lega Cattolica risulti sconfitta, come in effetti accadde anche nella realtà, molti libri di storia, forse di parte, preferiscono definire vittoriosa la causa cattolica, visto che Enrico IV per regnare dovette convertirsi e ai suoi ex-correligionari ugonotti concesse una libertà di culto limitata ai loro territori e fortezze (con l’editto di Nantes del 1598), libertà che costituì un importante precedente storico sulla via della tolleranza, ma che con la fine del suo regno fu presto revocata.

Secondo volume della Cosmo - Cover di François Dermaut

I due album successivi (raccolti nel n°3 della Cosmo) hanno un carattere più episodico. Il quinto, L’Oro Bianco, la cui copertina è stata usata dalla Cosmo per il n°1, ha per tema il contrabbando del sale, all’epoca bene di grande valore. Nel corso della storia, si chiarisce il rapporto affettivo che intercorreva tra l’Arcangelo e Volto di Cenere e si svelano le origini di quest’ultimo. Mentre l’ex malandrino di Parigi trova infine una propria casa, Gunther e Pritz trovano dei nuovi compagni, il boemo Jaromir coi suoi mercenari svizzeri e la sua bella amante Malka, che non perderà tempo a diventare per un po’ anche l’amante di Gunther. Pur avendo servito in eserciti opposti ed essersi forse anche combattuti, i due gruppi di soldati di sventura, ormai abbandonati al loro destino da regnanti che non hanno più bisogno di loro, non hanno troppi problemi a fare amicizia condividendo nuove imprese e fatiche, essendo legati anche dalla comune nazionalità germanica.
È appunto nella patria di Malka e dei mercenari di Jaromir, il Cantone Vallese della Svizzera, che si svolge il sesto episodio, Tschäggättä, il cui titolo si riferisce ai demoni le cui maschere sono indossate da misteriosi briganti del luogo. Gunther e Pritz sono ora coinvolti in una faida familiare e religiosa, con il prete locale che si contrappone alla presunta strega Cauquemarde, che, insieme a suo figlio Anton, tenta di sottrarre a Malka e Jaromir la figlioletta Anha e l’alpeggio che erano stati loro affidati in via provvisoria.
In pratica, anche lontano dagli intrighi di Parigi e del regno di Francia, tema di ogni episodio continuano ad essere i vari modi, fissazioni, fanatismi e inganni, con cui gli esseri umani insistono a tentare di opprimersi e dominarsi a vicenda, rendendosi la vita un inferno. Le turpi debolezze delle coscienze di alcuni personaggi si riflettono spesso anche nei loro volti, che, quando necessario, François Dermaut caratterizza in modo sempre più grottesco col passare degli anni. Alla fine di qualche vicenda si può al massimo giungere, dopo tante tensioni e pericoli, ad appena un breve momento di pace, prima di immergersi in nuove disavventure.

Terzo e conclusivo albo della prima stagione Cosmo - Cover di François Dermaut

Le prossime presto sarà finalmente possibile leggerle anche in italiano, visto che la Cosmo sembra intenzionata a pubblicare in breve tempo l’intera saga, alternandola con altri fumetti storici francofoni all’interno della collana Cosmo Serie Rossa. Ad agosto 2014 è prevista l’uscita della seconda stagione, che riprende le sorti dei personaggi là dove l’edizione della Glénat Italia li aveva lasciati vent’anni fa.


I SENTIERI DI MALEFOSSE
Testi: Daniel Bardet
Disegni: François Dermaut
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Cosmo

Prima stagione: n°1/3
Contenuti: dall’episodio 1 al 6
(editi in Francia dal 1983 al 1991)
Collana: Cosmo Serie Rossa n°15/17
Date di uscita: Gennaio/Marzo 2014
Prezzo: € 2,90 l’uno

Seconda stagione
Collana: Cosmo Serie Rossa dal n°22
Data di uscita: dal 5 Agosto 2014

Prezzo: € 3,00 l’uno

Andrea Cantucci

N.B. trovate i link alle altre puntate dei servizi dedicati ai "bonellidi" sulla pagina Cronologie e index!

PURO LANA

Il nostro Franco Lana, l'uomo delle interviste, ci ha inviato (in quanto inviato) una foto con una delle sue più recenti "vittime": Moreno Burattini e una breve storiella umoristica in puro stile Lana realizzata con l'amico Pietro Francioso! (s.c. & f.m.)








N.B. trovate altro humor e parodie nei link della pagina Cronologie & index!

domenica 20 luglio 2014

L’ANGOLO DEL “BONELLIDE” (IX): EL MEXICO DE LA SANTA MUERTE

 di Andrea Cantucci


“Questo era il Giorno di Morti messicano. C’era un odore di morte in tutto il 
Messico a cui non potevi sfuggire, per quanto lontano saresti potuto andare. 
Non importava quello che avresti fatto o detto, nemmeno se avessi riso o ti 
fossi ubriacato, non si poteva sfuggire alla morte in Messico.”

da
The Candy Skull (Il Teschio di Zucchero) di Ray Bradbury, 1948


In Messico esiste oggi un’immagine di culto, la Santa Muerte, che è una via di mezzo tra le raffigurazioni cristiane medievali della Morte armata di falce e l’iconografia di una tipica santa cattolica ben vestita, con la testa coperta da un sombrero o un velo chiaro, anziché da una scura cappa come l’allegoria della morte europea, un’immagine che sembra sia adorata dalle bande assassine dei narcotrafficanti messicani.
C’è anche una festa locale particolarmente macabra ma vissuta dai Messicani con sentita sacralità, El Dia de los Muertos (Il Giorno dei Morti), in cui tradizionalmente si mangiano le calaveras, i teschi di zucchero. È una festa paragonabile al nostro Due Novembre e all’anglosassone Halloween, derivato dal capodanno celtico, Samhain, in cui si facevano sacrifici umani e le anime dei morti si mettevano in viaggio per l’aldilà.
Ricordiamoci che i Messicani discendono in parte dai celti di Spagna, i Celtiberi, e che una certa attenzione rituale per i modi di dare e ricevere la morte ha sempre fatto parte anche della cultura spagnola (basti pensare alle corride). Inoltre per metà discendono dagli antichi popoli precolombiani, come Maya, Toltechi e Aztechi, che hanno avuto a loro volta i loro periodi di riti sanguinari e adoravano tra le altre alcune divinità tenebrose, come il dio della notte e della guerra Tezcatlipoca, e il dio della morte e degli inferi Tzontemoc.
Tutto questo per dire come l’aspetto sacrale della morte sia ancora particolarmente importante in Messico, cosa che sembra essersi riflessa anche sulla sorte e sulle visioni di alcuni personaggi messicani apparsi nei fumetti. Qualche bella immagine della Morte dalla tipica grafica messicana, appare per esempio nel bel racconto breve El Amigo, disegnato nel 1975 da Enrique Breccia, in cui un guerrigliero di Emiliano Zapata riceve la notizia che suo figlio sta morendo e un suo compagno lo lascia disertare a prezzo della propria vita.

La santa muerte di Enrique Breccia (dall'epidodio El Amigo)
La morte svolge un ruolo essenziale anche in un episodio della serie Los Guerrilleros, degli spagnoli Miguel Cussó e Jesús Blasco Monterde, noto da noi per aver disegnato anche Tex. Apparso nel 1968 sulla rivista belga Spirou e in Italia nel 1980 sulla rivista Skorpio, col titolo West Forever, il primo episodio di Los Guerrilleros (o Les Guerrilleros, alla francese) vede l’incontro del pistolero Ray e dell’apache Yuma col simpatico imbroglione messicano Pedro Alvarado De Guzman, sempre pronto a fregare il prossimo ma che alla fine si rivela di buon cuore, come i personaggi interpretati da Eli Wallach nei film di Leone. Tra le balle sparate da Pedro c’è quella di essere stato colonnello durante la rivoluzione di Benito Juárez, ma, nonostante il titolo, la serie non ha niente a che fare con la rivoluzione e non è neanche ambientata in Messico.

Pittorica cover di Enrique Torres per la recente ristampa bonellide de I guerriglieri di Cussò e Blasco
L’edizione francese in album del 1980, è tradotta in italiano nel 2014 in formato bonellide dall’Editoriale Cosmo, col titolo I Guerriglieri. Alla fine del primo episodio, Pedro si aggrega stabilmente al gruppo e con le sue azzardate iniziative ai limiti della truffa diventa il motore di successive avventure. In una di queste prende il posto di un famoso pistolero morto, allo scopo di intascare i mille dollari che gli erano stati offerti in cambio dei suoi servigi come sceriffo. Per sostenere la parte, Pedro è costretto per tutta la storia ad andare contro le sue abitudini, diventando praticamente un altro, astemio, onesto e perfino coraggioso ai limiti dell’incoscienza, un po’ come se il vero morto fosse lui e l’altro rivivesse per suo tramite, finché, una volta sgominata la banda di turno, il vivo e il morto possono nuovamente scambiarsi abiti e ruoli. È come se l’eroico pistolero morto, come un “santo” laico, avesse influito positivamente sulla vita di chi l’ha sostituito.


Sergio Toppi impegnato con le mitiche sette città di Cibola

Oltre a L’Uomo del Messico, Sergio Toppi nello stesso periodo disegnò un paio di affascinanti storie brevi  di sua ideazione, entrambe ambientate nell’antico Messico e in relazione con la morte originata dagli dèi. 
In Tzoacotlan 1521, pubblicata su Linus n°7 del 1976, il vecchio sacerdote azteco Quematzin ottiene dai suoi dèi una moderna mitragliatrice per massacrare i conquistadores spagnoli che hanno appena invaso il suo paese, pagando però il dono con la propria vita. In San Isidro Maxtlacingo 1850, pubblicata su Alter Alter n°1 del 1978, un ricco europeo annoiato si reca a visitare un antico tempio azteco dedicato a un dio che donava la pioggia in cambio della morte di chi gli veniva sacrificato e il visitatore scopre a sue spese che il santuario è ancora in attività. I due racconti, oltre che nel bel volume Sacsahuaman pubblicato dalla Milano Libri nel 1980, sono stati anche ristampati nel volumetto Percorsi Messicani, il n°48 dei Tascabili Lizard.
Ma l’interesse del grande autore per il Messico non si era ancora esaurito. Nel 1985 pubblicò sulla rivista Corto Maltese il racconto Chapungo, in cui il povero messicano che dà il nome alla storia è ossessionato dagli aeroplani, di cui collega la caduta alla memoria del padre morto, fino a uccidere tutti quelli che incontra e che teme possano portargli via il prezioso relitto che riesce infine a trovare, anch’esso, a suo modo, morto.
Nel 1992 invece, Toppi scrive e disegna per la collana Relatos del Nuevo Mundo, dell’editrice spagnola Planeta DeAgostini, il lungo racconto a colori Il Tesoro di Cibola, in cui tre avventurieri vanno alla ricerca delle mitiche città d’oro, nei territori ancora inesplorati di quella che nel XVI secolo si chiamava ancora Nuova Spagna. Uno di loro è un ventriloquo che spera di usare una testa di morto parlante per spaventare gli indigeni, ma per loro sfortuna gli indios Yaquis si trovano perfettamente a loro agio con la morte.

Anche Ken Parker di Berardi e Milazzo non poteva farsi mancare un giro Sotto il cielo del Messico
Un’altra storia d’ambientazione messicana che termina con un’ecatombe è Sotto il Cielo del Messico, uscita nel 1977 sul n°7 del Ken Parker di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, a cui fa da scenario uno dei tanti tentativi di golpe a opera dei militari. Il colpo di stato, che per vari imbrogli e fatalità non avverrà, è progettato da un tal generale Huerta, che prende solo il nome dall’omonimo ufficiale dell’esercito porfirista che ebbe un ruolo sinistramente importante nella storia messicana. Poiché questo periodo di Ken Parker si svolge durante la presidenza Grant, quindi pochi anni dopo la Guerra di Secessione, quel fallito golpe si può collocare nel periodo in cui in Messico era una repubblica con presidente Benito Juárez, tra gli anni ’60 e ’70 dell’800.
Lo stesso Ken affronta simbolicamente la morte in almeno due punti del racconto, quando attraversa il deserto e quando è rinchiuso in un doppio fondo e crede d’essere stato sepolto vivo. Tra i morti veri e propri, si contano invece due pattuglie di poliziotti messicani, un pistolero gringo un po’ troppo sicuro di sé, un’ambigua avventuriera e un erculeo ritardato uniti in un abbraccio di amore e morte… e ancora non basta. I soldati coinvolti nel golpe e i trafficanti che dovevano rifornirli di armi si scontrano in una sparatoria di massa con quasi nessun superstite che, benché molto più breve, ricorda quella del film Il Mucchio Selvaggio di Sam Peckinpah, forse una tra le pellicole ambientate in Messico col maggior numero di morti ammazzati.
Sempre di Berardi e Milazzo, va citato anche il breve racconto La Conquista del Messico, uscito nel 1991 su Comic Art n°79, di cui il nostro Francesco Manetti ha scritto giustamente: il conquistador, spinto dalla sua bramosia di ricchezza, si rivela non meno incivile del sacerdote azteco che ha strappato il cuore a una vittima sacrificale. Entrambi infatti uccidono un innocente, l’uno commettendo un delitto evidentemente abituale e l’altro compiendo un atto considerato sacro. Ognuno dei due è, a suo modo, un seguace della Santa Muerte, né più né meno dei fanatici Thugs che in India procuravano vittime in onore della loro dea Kālī.

Collana Metal n.2 - ed. Nuova Frontiera. disegno di Jeronaton
Molto meno sanguinario e a suo modo più romantico, è l’album ambientato nell’antico Messico Champakou, opera dell’illustratore belga Jean Torton, in arte Jeronaton, che fu edito in Francia da Les Humanoides Associés e pubblicato in Italia dalla Nuova Frontiera sul n°2 della Collana Metal, all’inizio degli anni ’80.
Il protagonista della vicenda, che dà il titolo al volume, è il nuovo indovino della cittadina maya di Sayatal, che come il suo predecessore incontra una visitatrice aliena, scambiandola ovviamente per una divinità. In questo periodo precolombiano però i Maya non avevano ancora acquisito dai vicini Toltechi l’abitudine ai sacrifici umani portati all’eccesso e, nonostante la copertina un po’ tenebrosa, il racconto scorre questa volta con ben poche vittime, dovute solo alle solite incomprensioni tra esseri di mondi diversi.
La morte, sventata all’ultimo momento, affrontata eroicamente o accettata per propria scelta, svolge invece un ruolo ben più importante in un altro album dello stesso autore, La Grande Traversata, pubblicato in Italia nel 1983, sul n°14 della stessa collana. L’ambientazione è questa volta più ampia, attraversando tutto il continente americano, ma le scene ambientate nel Messico dei Toltechi e dei Maya sono centrali. Qui giunge, alla ricerca del fratello, una ragazza comanche di nome Topsannah a cui lo spirito del peiotl ha donato la capacità di assumere le fattezze di un’aquila per percorrere grandi distanze. La morte però sembra seguirla, o forse precederla, nel suo viaggio. Inutile si rivelerà il suo tentativo di salvare un giovane maya, destinato al sacrificio dai suoi nemici toltechi. Ricavando da lui informazioni, è come se le avesse avute da qualcuno già morto. Nella città maya di Chichen Itza affronta poi la prova più estrema, trascorrendo la notte immersa in un pozzo sacro per parlare col dio Kukulkan, che, come tutti gli dèi, è molto difficile incontrare da vivi.


Collana Metal n.14 - La grande traversata: Non solo Messico per Jeronaton.
La storia, tutto sommato semplice e che, come la precedente, è poco più che una scusa per rappresentare in dettagliate illustrazioni monumenti e costumi delle civiltà precolombiane, evoca però nel finale un’immagine della morte particolarmente luminosa e riconciliatoria rispetto al comune destino di noi tutti.

I morti abbondano anche nelle storie in cui appare il guerrigliero messicano Amos Rodriguez, a partire dal quarto episodio della serie western Durango, creata dal belga Yves Swolfs nel 1978 e ristampata in Italia in formato bonellide dalla GP Publishing nel 2012. La figura di Amos è ricalcata su quella di Cuchillo e degli altri peónes ribelli interpretati al cinema da Tomas Milian, di cui Amos è l’anagramma del nome senza la T e Rodriguez è il vero cognome. Come loro, pur circondandosi di assassini e usando metodi violenti, Amos “lotta per la libertà dei diseredati” e questi lo sostengono, anche perché qui la maggior parte degli ufficiali e dei soldati messicani, che dovrebbero rappresentare le autorità, sono molto peggiori di lui e della sua banda.


Recente ristampa delle avventure di Durango in formato bonellide - Ed.GP publishing - Cover di Swolfs
Anche il protagonista che dà il nome alla serie, Durango, un pistolero gringo armato di mauser, pur non essendo messicano deve il suo nome al Messico, trattandosi di quello di una città e di uno stato nel nord del paese, anche se forse è stato scelto dall’autore soprattutto per la sua assonanza con Django.
Nel quinto e nel sesto album della serie, Sierra Selvaggia e Il Destino di un Desperado, entrambi ambientati in Messico, Durango aiuta appunto Amos e i suoi guerriglieri ad affrontare due intere guarnigioni di soldati. Ma alla testa di un gruppo di cacciatori di taglie che spalleggiano l’esercito messicano contro di loro, c’è una canaglia di nome Logan con le fattezze di Jack Palance, altro famoso interprete dei western all’italiana, a cui qui viene fatto ripetere lo stesso eccezionale ruolo di cattivo che aveva in Vamos a Matar, Compañeros.
Il periodo in cui si svolge la vicenda non è chiaro e neanche tanto importante, ma poiché vi si fa cenno a un tiranno, è probabilmente ambientata dopo la presa del potere da parte di Porfirio Dìaz nel 1876. La cosa che qui più conta è la celebrazione, a suon di sparatorie e di morti ammazzati, dei vecchi spaghetti western, mentre ogni contenuto politico è del tutto marginale, segno che anche in Francia dopo tanti anni si ricordano ancora di quando al cinema, per tentare di fare la rivoluzione, praticamente bastavano un gringo e un peón.
Tanto per restare in tema, anche il ribelle Amos, quando ormai ben pochi personaggi sono rimasti in vita, finisce a sua volta per incontrare il suo destino sotto un metro di terra, quasi santificato da un’eroica morte.



Immagine tratta da Goin' South di Muñoz e Sampayo.

Lasciando il Messico dei western e dei Maya per un Messico più contemporaneo, troviamo una storia a fumetti che, in qualche modo, ricorda molto più da vicino la festa dei morti. È l’episodio degli argentini José Muñoz e Carlos Sampayo intitolato Goin’ South (Andando a Sud), uscito sulla rivista Alter Alter nel 1977 e ristampato sul volume Sophie dell’editrice L’Isola Trovata nel 1980.
La protagonista, Sophie Milasewicz, è una ragazza di New York anticonformista e insofferente verso le autorità, che, dopo essere stata arrestata senza motivo ed essere evasa, si rifugia in Messico. Da qui in poi, il racconto scivola sempre di più nel simbolismo e nella satira politica. Sophie incontra varie figure macabre che alludono all’atavica miseria del paese, da un vecchio ultracentenario, che non mangia da quarant’anni ed è ridotto a uno scheletro, a un tizio detto il “mezzo morto”, che muore un po’ per volta da destra a sinistra.
Per liberare da un carcere statunitense la figura semi-mitologica detta Chingada Madre (Madre Rotta), di cui sembrano essere figli tutti i peónes del paese di Aguas Podridas (Acque Putride), la gringa Sophie ricorre poi all’aiuto di un esercito di rivoluzionari defunti, i “ragazzi della morte” di Lisandro Obregón, che sono più scheletrici di tutti gli zombi che vanno di moda oggi. Nella storia si dice che questi avevano combattuto con Pancho Villa e che l’ultimo era morto nel 1912, quindi non dovrebbero avere niente a che fare col generale Obregón, realmente esistito, che nel 1914 sostenne invece la presidenza di Carranza contro Villa.
Una volta liberata la Madre, che ritorna volando in Messico e si fonde con la terra rigenerandone la vita, la ritorsione degli USA consiste in un attacco militare che rade al suolo la cittadina e ne massacra gli abitanti, chiara metafora dei sanguinari interventi armati statunitensi di quegli anni in paesi come il Salvador o il Cile.


Trillo e Risso firmano la serie Chicanos, qui nella più recente incarnazione nostrana della Coniglio Editore.
Il tema del rapporto tra immigrati messicani e società statunitense, trattato in modo meno esplicitamente politico e con maggiore attenzione alla coerenza narrativa delle storie, ricorre anche nella serie del 1995 Chicanos, di altri due grandi autori argentini, Carlos Trillo e Eduardo Risso. La protagonista Alessandrina Yolanda Jalisco, una piccola messicana bruttina e dalle tette enormi, è un improbabile detective privato che ha spesso a che fare per lavoro con morti ammazzati o minacce di omicidio, ma, benché si impegni sempre scrupolosamente nell’assolvere i suoi compiti, riesce di rado ad avere successo fino in fondo nella risoluzione dei suoi casi, anche e soprattutto per i tanti pregiudizi che la circondano. Fin da bambina, le sue indagini tese a scoprire i segreti degli altri, tendevano a provocare conflitti e sfociare in tragedie e ammazzamenti.
La serie, suddivisa in episodi di dodici pagine, è stata pubblicata in Italia su rivista dall’Eura e parzialmente ristampata in volume da Coniglio Editore nel 2003, ma ha avuto meno successo di quanto avrebbe meritato.

Primo volume della recente edizione economica di Juan Solo - Editoriale Cosmo - Cover di Bess
Uno dei fumetti più affascinanti ed evocativi ambientati nel mondo della miseria e del crimine messicani è Juan Solo, scritto da Alejandro Jodorowsky, che diresse i suoi primi e più importanti lungometraggi proprio in Messico, e disegnato da George Bess. Edito da Les Humanoides Associés in quattro volumi usciti tra il 1998 e il 1999, in Italia Juan Solo è stato pubblicato in edizione cartonata da Grifo Edizioni e riproposto nel 2014 in edizione economica dall’Editoriale Cosmo. Il protagonista è un bambino nato con la coda che qualcuno ha abbandonato in una discarica e che viene allevato da un nano omosessuale che si prostituisce.
La durezza di una vita da emarginati in cui il suo genitore adottivo viene massacrato da dei teppisti, conduce il caudato Juan alla delinquenza e a crescere come uno spietato capobanda con sempre maggiori ambizioni, fino diventare la guardia del corpo del primo ministro. Attraverso altre vicissitudini e traversie, con la sua decadenza dal posto di potere che aveva, Juan subisce poi una lenta e graduale evoluzione interiore che lo porterà, come viene anticipato all’inizio della storia, a diventare il santo adorato da una povera comunità, deciso a sacrificare la propria vita per loro, ciò che si può in effetti definire come una “santa morte”.


Copertina di Juarez, decimo volume della collana Cosmo Color (ed. Cosmo) - immagine di Corentin Rouge
Un’altra bella storia ambientata nel Messico contemporaneo e in cui appaiono anche visioni connesse al culto della Santa Muerte, è Juarez, scritta dalla brava Nathalie Sergeef e molto ben disegnata da Corentin Rouge.
Edita in Francia nel 2012 dalle Editions Glénat e pubblicata anch’essa nel 2014 dall’Editoriale Cosmo, è ambientata appunto a Ciudad Juárez, al confine tra Messico e Stati Uniti, in una città dove si contano a centinaia, forse a migliaia nell’arco di vent’anni, i casi di feminicidios (femminicidi), con le giovani donne che ne sono vittime che scompaiono, per essere poi a volte ritrovate uccise, sepolte sotto le case o nei campi.
Juarez è la storia immaginaria di uno di questi casi, con Gael, fratello di una ragazza scomparsa, che arriva in città per rintracciare la sorella. Le sue indagini lo portano a cercare in ambienti malavitosi ma anche altolocati, che spesso in Messico come in Italia coincidono, in quelli che sembrano tanti vicoli ciechi. Un finale eccezionalmente concepito manderà però al proprio posto tutti i tasselli e gli indizi precedenti, chiarendo esattamente cosa è successo alla ragazza, anche attraverso un sapiente montaggio alternato in flashback.


La Santa Muerte fa la sua apparizione nel volume Juarez - disegno di  Corentin Rouge

Nella storia Mexican Standoff (letteralmente Stallo Messicano), scritta da Diego Cajelli, disegnata da Matteo Cremona e pubblicata nel 2013 sul n°9 della collana Le Storie della Bonelli, l’apparente morte e la misteriosa guarigione del protagonista, Reyes, un gangster messicano d’origine india coinvolto in una guerra contro l’ex-capo, potrebbe invece essere l’occasione per lui per iniziare una nuova vita, se non fosse del tutto preso dal desiderio di rivalsa e dalla vendetta per l’omicidio della sua donna. Gli elementi fantascientifici riguardanti possibili entità aliene che lo avrebbero salvato, si mescolano con temi mistici della cultura india, con effetti volutamente poco chiari, ma che condurranno a una spiegazione degli eventi abbastanza originale, anche se questa rimane tutto sommato secondaria rispetto alla cura dedicata alle sparatorie e alle scene d’azione.
Lo stesso Reyes, che ha acquisito poteri estremi, diventerà infine un perfetto strumento della Santa Muerte. Anche nel XXI secolo, il Messico rimane così un territorio di violenze e magie, ai cui confini gringos e peónes continuano a scontrarsi, quando proprio non riescono a diventare amici… o a fare una rivoluzione insieme.


Il Messico e il suo folklore nel nono numero de Le Storie (Bonelli editore). Cover di Aldo Di Gennaro

   
Storie citate nell’articolo uscite di recente in formato bonelli:
  
DURANGO episodi 4/6
Testi e disegni: Yves Swolfs
su
DURANGO n°2-3
Collana: GP Maniac n°24-25
Formato: 96 pagine in bianco e nero
Editore: GP Publishing
Date di uscita: Marzo-Aprile 2012
Prezzo: € 2,90 l’uno

  
MEXICAN STANDOFF
Testi: Diego Cajelli
Disegni: Matteo Cremona
su
LE STORIE n°9
Formato: 112 pag. in bianco e nero
Editore: Bonelli
Data di uscita: Giugno 2013
Prezzo: € 3,50
  
I GUERRIGLIERI
Testi: Miguel Cussó
Disegni: Jesús Blasco
su
WEST – FUMETTI DI FRONTIERA n°8
Collana: Cosmo Serie Gialla n°17
Titolo: La Vendetta del Gringo
Formato: 96 pag. in bianco e nero
Editore: Cosmo
Data di uscita: Febbraio 2014

Prezzo: € 2,90

 Andrea Cantucci

N.B. trovate i link alle altre puntate dei servizi dedicati ai "bonellidi" sulla pagina Cronologie e index!

DYLAN,TEX & JULIA ENIGMA!


Bonelli enigmatiche news (9)

Continua la ricerca dell'amico e collaboratore Filippo Pieri, delle curiosità bonelliane sulla Settimana Enigmistica! (s.c. & f.m.)



Sulla Settimana Enigmistica 3543 del 19 Febbraio del 2000 a pag.14 "Dedicato ai ragazzi c'è il quesito 4360 Accoppiamenti dove troviamo Dylan Dog Julia e Tex




Sulla Settimana Enigmistica 3726 del 23 Agosto del 2003 troviamo una vignetta a tutta pagina (la 13) in cui scorgiamo in basso al centro un albo di Dylan Dog.







Sulla Settimana Enigmistica 3931 del 28 Luglio del 2007 a pag.9 troviamo le parole crociate facilitate il cui 43 verticale recita:Il Dylan dei fumetti.


N.B. trovate i link alle altre novità bonelliane su Interviste & News

DYLAN & TEX ENIGMA!

Bonelli enigmatiche news - (8)

Ancora dall'amico e collaboratore Filippo Pieri, a caccia di storiche curiosità bonelliane sulla Settimana Enigmistica! - 8a puntata (s.c. & f.m.)


Ancora Tex e Dylan Dog protagonisti del giornale di enigmistica primo per fondazione e diffusione.

Sulla SE 3914 del 31 Marzo 2007 a pag. 7 la definizione del 42 verticale: il Dylan dei fumetti




Sulla SE 3927 del 30 Giugno 2007 a pag. 37 la definizione del 61 verticale: il Willer dei fumetti



Sulla SE 3931 del 28 Luglio 2007 a pag. 7 la definizione del 41 verticale: il Willer grande amico di Kit Carson



N.B. trovate i link alle altre novità bonelliane su Interviste & News

venerdì 18 luglio 2014

WYATT EARP E L’O.K.CORRAL! LA STORIA DEL WEST by WILSON VIEIRA (XIV PARTE)

Ci arriva dal Brasile una nuova puntata della Storia del West che Wilson Vieira (disegnatore del Piccolo Ranger, storico ed esperto del comic) sta scrivendo per le colonne elettroniche di Dime Web! In questa 14a parte Wilson ci racconta della controversa figura di Wyatt Earp e del mitico duello all'O.K.Corral! Ricordiamo infine che la scelta e il posizionamento delle immagini non bonelliane è opera dello stesso Wilson! Buona lettura!
(s.c. & f.m.)









Wyatt Berry Stapp Earp (1848–1929): forse pochi lettori sanno che in fondo, la sua leggenda si nutre della biografia scritta da Stuart N. Lake (1889–1964), su dati offertigli dallo stesso Earp.
Conosciamo perciò soltanto una versione "di parte" della sua storia personale e per questo tutto è molto dubbioso.
Questa narra, dunque, che Earp arrivò a Wichita nel maggio 1874 e divenne subito sceriffo della città. In realtà la sua domanda di assunzione nelle forze di polizia venne rifiutata.Solo il 21 aprile 1875 venne assunto come poliziotto.


Ciò che si può trovare nei quotidiani dell'epoca su Earp è quanto segue: Il 9 maggio 1875 Earp, con l’appoggio dello sceriffo Behrens, arrestò il ladro di cavalli W.W.Compton; Il 23 maggio 1875 Earp non arrestò il cowboy Higginbotham, che, sbronzo, andava su e giù a cavallo tra l’Occidental Hotel e l’Empire Saloon fracassando i vetri delle finestre e i lampioni stradali, perché in quella occasione non aveva l’appoggio di nessuno; Il 10 novembre 1875 Earp, lo sceriffo Meagher e il suo assistente, sceriffo Behrens, arrestarono un certo William Potts e 2 uomini di colore che poi venero accusati di furto di cavalli e di bestiame; Il 15 dicembre 1875 Earp trovò, presso il ponte sull’Arkansas, un ubriaco steso a terra, con accanto una borsa contenente 500 dollari. Earp portò  l’ubriaco nella prigione della città e consegnò il denaro. Questo fu il solo arresto che opero da solo.
Il volume de I protagonisti dedicato da Albertarelli  a Wyatt Earp


Wyatt Earp prosegue la sua carriera partecipando alla “Commissione di Pace” che Dodge City aveva voluto creare intorno al 1875 per frenare l’abitudine di troppi suoi cittadini di “uccidere un uomo ogni mattina per colazione”. I notabili della turbolenta città avevano allora chiamato i migliori Commissari di Pace del West, sette in tutto, il più famoso dei quali era, dopo Wyatt Earp, William Barclay Bat Masterson (1853–1921).



Il 23 maggio 1876 Wyatt Earp entrò nelle forze di polizia di Dodge City come assistente dello sceriffo. Il 17 ottobre 1876 venne licenziato su sua stessa richiesta ed abbandonò la città. Il 21 luglio 1877 ritornò, schiaffeggiò Miss Frankie Bell che l’aveva offeso e venne per questo motivo condannato dalla Corte della polizia al pagamento di 1 dollaro, il minimo di multa.Nello stesso giorno abbandonò nuovamente la città e si trasferì nel Texas.
Dopo che non era riuscito a farsi assumere come sceriffo o aiutante sceriffo di Dodge City, arrivato a Fort Clark, Texas, rilevò un saloon.

Anche Tex a Dodge City! copertina di Aurelio Galleppini

Il 22 gennaio 1878 il “Ford County Globe” informa che: “Mr. Wyatt Earp, che nel passato per qualche mese aveva incarnato  la figura del buon poliziotto, è ritornato da Fort Clark, Texas, dove aveva lavorato come  semplice oste”.
Il 14 maggio 1878 Charley Bassett assume Earp come assistente sceriffo, al posto di Edward Masterson assassinato il 9 aprile 1878. Il salario di Earp ammonta a 75 dollari. Nei mesi successive Earp non viene mai nominato nei notiziari della comunità, né nei verbali della polizia, sempre così minuziosi.



Dodge City, nel Kansas, detta la “Capitale  dei cowboy": i suoi locali dalle facciate in legno, accolgono invitanti i cowboy che giungono in città dopo aver attraversato la prateria. Dodge City, conosciuta pure come “Regina delle città dei bovini”, “L’Eccitante Babilonia Bibblica della prateria”, “La Città dei sei colpi”, “L’Inferno della pianura”, è la città nella Contea di Fort Kansas, nella quale vi era un saloon per ogni 50 abitanti.
Nelle sue sale da ballo, il grido: “Mani in alto!” risuonava tanto spesso quanto quello di: “Giù le mani!”. A Dodge City esistevano solo due case chiuse, la prigione e la chiesa; non passava giorno senza una sparatoria.
Il Drover’s Cottage, primo hotel di lusso della prateria che offriva ai mandriani quanto c’era di meglio in fatto di comfort, testimoniava che a Dodge City si attribuiva grande importanza a una buona convivenza sociale. In città si poteva trovare di tutto: l’attrezzatura necessaria al cacciatore di bisonti, fiere di divertimento per cowboys, luoghi di spasso per i soldati, la roulette per l’avventuriero. Era la città in cui il “Selvaggio West” bruciava della sua più grande fiamma.




In origine, Fort Dodge era stata costruita a metà strada tra il Missouri e Santa Fé, per far da scudo all’arteria commerciale di Santa Fé, ma poi divenne il centro operativo per le spedizioni punitive dell’Esercito USA contro gli indiani; più tardi fu la base per la caccia al bisonte. Infine sorse, lungo i binari della ferrovia Atchinson–Topeka–Santa Fé, "la città dei bovini".
Nel 1872 la strada ferrata aveva raggiunto Dodge City. Spesso, in un solo giorno, venivano caricate 40.000 pelli di bisonte. Nel 1874 Doc Barton porto nella città i primi 2.000 bovini Longhorns, ma solo nel 1875 ebbe inizio l’epoca d’oro del cowboy quando ne portò 180.000 dal Texas sul mercato locale. Nel 1876 erano già 322.000, nel 1877: 201.139, nel 1878: 265.646, nel 1879: 257.927, nel 1880: 384.147, nel 1881: 223.000, nel 1882: 153.000, nel 1883: 175.769, nel 1884: 239.324, nel 1883: 201.471. L’anno 1886 segnò la fine delle grandi spedizioni di mandrie.
Mandria di longhorns anche sulla cover di Storia del West. Disegno di Gino D'Antonio

A partire dal 1879 la ferrovia aveva portato nella regione schiere sempre più numerose di piccoli coloni, i quali, secondo la Legge per i coloni, pretendevano ampie fette delle terre Governative ancora libere attorno alla città e cingevano di siepi i loro campi.
Mentre negli Stati del Kansas, Nebraska, Dakota, Wyoming e Montana, si stabiliva una sola tecnica di allevamento attraverso l’incrocio, le praterie del Kansas si trasformarono, poco alla volta, in tanti tasselli di aree coltivate e cinte da siepi. Nel 1886 quasi più nessuno parlava dei Longhorns del Texas, e Dodge City era diventata una città di coltivatori. La rumorosa Front Street con i suoi saloon e sale da ballo era già divenuta una statua da museo ancor prima che l’ultimo cowboy scomparisse dal quadro della città.
Luky Luke non poteva mancare al duello dell'O.K. Corral. Copertina di Morris

Qui, a Dodge City, prima di recarsi a Tombstone, Wyatt Earp con i suoi fratelli si è guadagnato grande fama nella lotta al banditismo.
I quattro fratelli Earp si somigliano talmente che a Dodge City vengono spesso scambiati uno per l’altro. Per questo i banditi che hanno a che fare con Wyatt sospettano che abbia il dono dell’ubiquità. Il “Ford County Globe” constata unicamente che: “Mr. Earp possiede la magnifica capacità di prevenire una sparatoria con grande sangue freddo, per cui non è consigliabile ai texani più chiassosi inscenare litigi quando egli è nelle vicinanze”.
Il 9 settembre 1879 Earp rinuncia all’incarico, dopo aver tentato invano di diventare sceriffo, e si reca a Las Vegas. Il 27 novembre 1879 il Dodge City Times” annuncia che: “Earp è stato per un po' di tempo corriere della Società di Trasporti Wells Fargo & Co”.
Josephine Sarah “Sadie” Marcus (1861–1944), è stata dal 1874 fino al 1882 la seconda moglie di  Wyatt  Earp, dopo che questi era già stato sposato nel 1870 con Urilla Sutherland (1849–1870) a Lemar, Missouri. E' il 1° dicembre 1879 quando Earp con una terza moglie, la prostituta Celia Ann “Mattie” Blaylock (1850 – 1888), che egli aveva sposato a Dodge City, arriva a Tombstone, Arizona.





La posizione di Wyatt Earp a Tombstone è ancor oggi oggetto di vivaci controversie.
Vi sono storici che spiegano la non trascurabile ricchezza da lui (nonché dai fratelli Morgan Earp (1851 – 1882), Virgil Walter Earp (1843 – 1905), Warren Baxter Earp (1855 – 1900) e James Cooksey Earp (1841 – 1926) ammassata a Tombstone, affermando che egli era il cervello di una banda  di banditi e di bari, ed altri che difendono la sua onestà, per il fatto che una sua partecipazione ad azioni criminali non è mai stata dimostrata.






Il famoso scontro all’O.K.Corral è altrettanto poco chiaro quanto l’intero periodo passato da Earp a Tombstone. Molto è stato scritto a proposito, ma nessuna delle numerose opinioni e nessun indizio è sufficiente a fornire una credibile spiegazione né di una sua colpevole partecipazione a quello scontro, né della sua estraneità. Lo stesso Wyatt Earp diede, col passar del tempo, tre diverse versioni di questo scontro.
Ciò che può essere dimostrato al di là di ogni dubbio è che la professione e l’attività di Wyatt Earp a Tombstone era quella di oste.
Il verbale dell’interrogatorio di Earp durante una seduta del Tribunale dopo lo scontro all’O.K.Corral. il 26 ottobre 1881, presieduta dal giudice Spicer, contiene le seguenti affermazioni di Wyatt Earp: “Il mio nome è Wyatt Berry Stapp Earp e ho 32 anni. Abito a Tombstone ove mi trovo dal primo dicembre 1879. Sono “Saloon-keeper” ovverosia tenutario di un saloon, oste.



È anche vero che verso la fine della vita di Wyatt Earp, era pronto per lui un mandato d’arresto, al quale si sottrasse fuggendo in California.



Wyatt Earp morì, due anni prima che Stuart N. Lake, di cui aveva fatto conoscenza sei mesi prima della morte, pubblicasse la sua biografia.
Venne sepolto nel cimitero Ebraico di “Hills of Eternity Memorial Park”, di Colma, presso San Francisco. Durante l’ispezione del suo cadavere venero scoperte due vecchie cicatrici di arma da fuoco.
L'O.K. Corral era la stalla da noleggio, a forma di ferro di cavallo, che si trovava a Tombstone, città con miniere d’argento, nella Valle San Pedro, nell’Arizona, all’angolo della Fremont Street  con la Third Street.
La più famosa sparatoria fra gli uomini della Legge e un gruppo di ladri di bestiame ebbe luogo lì, al recinto per il bestiame marcato O.K.




 Erano le 2,20 pomeridiane del 26 ottobre 188. Dura soltanto  30 secondi.



Da una parte c’è lo "sceriffo" Wyatt Earp con i  fratelli  Virgil e Morgan, e l’amico John Henry “Doc” Holliday (1859–1887) dentista, ubriaco e baro fra tante altre cose; dall’altra un gruppo di fuorilegge: i fratelli Ike e Billy Clanton e i fratelli Tom e Frank McLaury. Alla fine si contano tre  morti fra i fuorilegge; Ike Clanton (1847–1887) è riuscito a fuggire. 


I loro avversari hanno sparato 17 colpi. “Troppi, osserva uno storico del West, perché hanno colpito Frank McLaury tre volte, due volte Tom, e sei volte Billy Clanton”. 





Morgan Earp viene ucciso, Virgil Earp perde una gamba, Doc Hollyday è ferito a una coscia. Wyatt Earp, incolume, correrà il rischio di essere processato per omicidio. Infatti le ragioni dello scontro non vengono mai chiarite; si parla di interessi contrastanti e di vendetta.
Per alcuni, gli Earp sono autentici tutori della Legge, per altri assolutamente no. Pare che lo sceriffo di Tombstone, che aveva cercato di evitare la  sparatoria, sia  stato allontanato da loro con le minacce.

I fratelli Earp immortalati da Gino D'Antonio sulla cover n.71 di Storia del West
Dopo la sparatoria dell’O.K. Corral, Wyatt Earp si trasferice all’est e non fa più ritorno a Tombstone dove gli amici dei Clanton hanno giurato di fargli la pelle.
Non sapremo mai la vera e giusta realtà e questo, fa diventare il Wild Old West più magico che mai. Ognuno di noi può dare la propria versione su tutto questo. Perché Wyatt Earp “l’uomo dalla  pistola facile” e Doc Holliday “l’ubriaco  romantico” ci faranno sempre ricordare l'indimenticabile O.K.Corral...




Wilson Vieira


P.S. Trovate i link alle altre parti della Storia del West di Wilson Vieira nella pagina delle Cronologie!